La Grande guerra? Salpò dal «Porto delle nebbie»

È bello quando due fratelli che non si vedevano da tanti anni, si ricongiungono. Uno di fronte all’altro, magari non si parlano neppure, anche se avrebbero molto da dirsi. Magari si limitano a stare in assoluto silenzio. E magari sono due romanzi.
Accade ora, con Il porto delle nebbie che prende posto, sullo scaffale della libreria ideale, proprio accanto a La paura, dorso contro dorso, inseparabili. L’opera più famosa di Pierre Mac Orlan (famosa soprattutto per merito dell’omonimo film di Marcel Carné del ’38 con Jean Gabin e Michèle Morgan, infedele nella forma eppure fedele nella sostanza) è il fratello maggiore, classe 1927, e quella di Gabriel Chevallier è il fratello minore, classe 1930. Quest’ultima uscì l’anno scorso per la prima volta in Italia da Adelphi, e l’altra torna finalmente, anch’essa per Adelphi (pagg. 144, euro 16, traduzione di Cristina Földes) dopo l’ormai introvabile edizione del ’44.
Sono fratelli di sangue, i due romanzi, perché collocati l’uno, quello di Chevallier, nel pieno della prima guerra mondiale e il secondo, quello di Mac Orlan, negli anni inquieti che la precedettero. Sono figli di una Francia dalla grandeur ammaccata dopo i troppi colpi subiti, e di due padri, i due autori, dotati di un talento letterario che diviene talento da storici per come riescono a scolpire i fatti minimi dei singoli nel quadro complessivo dell’epoca in cui li calano. Chiamiamola pure, alla francese, histoire événementielle. Chiamiamola persino fiction, volendo. Ma resta il fatto che, in entrambi i casi, il particolare e la finzione emergono dalla realtà dei ricordi. E i ricordi non mentono.
Il porto delle nebbie (da non confondere con Le port des brumes di Georges Simenon, datato 1932, quindicesimo romanzo della serie di Maigret) non è un «porto» bensì un locale di Montmartre, il Lapin Agile. E il mare che bagna la narrazione è una Parigi procellosa popolata da delinquenti, puttane, militari, poveracci. In quella bettola (realmente esistita e che ebbe un passato e avrà un futuro pieno di lustrini e paillettes) si incontrano un disoccupato idealista, un giovane pittore tedesco, un soldato sulla via della diserzione, un macellaio pronto a macchiarsi anche di sangue umano e una ragazza di vita. Fuori, la neve stende un velo pietoso («Un miserabile sulla neve - dice il nullafacente Jean Rabe - ha ancora un valore sociale, mentre un miserabile in pieno sole è già marciume»).


Ma fuori tutti sono costretti a tornare, dopo quella notte fatale. Andranno a perdere le loro guerre personali prima che una guerra comune, addirittura mondiale, provvederà a stendere un altro velo, questa volta un sudario, sui destini della Francia e dell’Europa intere.

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