Il più recente report di Wealth X, società con sede a Singapore e base europea a Budapest, che analizza la concentrazione delle persone con fortune superiori ai 30 milioni di dollari, registra in Italia una diminuzione della ricchezza del 18,5%, uno dei dati peggiori tra i 45 Paesi presi in esame. Nella graduatoria, l'Italia è quinta con 1.940 ricchi che assommano un patrimonio di 220 miliardi di dollari, contro i 15.770 della Germania, prima, che possiedono 2.050 miliardi di dollari.
Può bastare questo per spiegare la crisi del mercato dell'arte in Italia? Lo abbiamo a chiesto a Giancarlo Graziani, coordinatore delle attività del Cestart (Centro studi sull'economia dell'arte ) che si occupa di approfondire la conoscenza delle dinamiche del comparto (www.cestart.it).
«I mercanti italiani soffrono le condizioni della crisi generale, ma se in altri comparti reggono gli scambi di altissima fascia, qui questi sono assenti per una legislazione specifica pensata in una logica statalista - nel 1939 - e non ancora riformata. Per intenderci, le case d'asta in Francia incassano un miliardo l'anno, in Italia 100 milioni». Continua Graziani: «Il comparto potrebbe dare un contributo in termini di occupazione, reddito e gettito se adeguatamente seguito e con poco sforzo potremmo recuperare posizioni nello scenario dove gli attori sono sempre Regno Unito, Usa, Svizzera e Cina».
Si parla molto di Cina: lì cosa sta avvenendo?
«I cinesi vedono nell'arte una risorsa strategica per il loro sviluppo sui mercati internazionali - come fu per gli americani con la Pop Art - e infatti è lo Stato stesso che guida il processo attraverso i propri gruppi industriali. Poly, a esempio, con la propria divisione Culture associa le funzioni di casa d'asta, museo, sede espositiva promuovendo i propri artisti con logica industriale».
L'arte come attività economica, quindi.
«È distorto vedere l'arte lontana dai mercati».
Com'è la domanda in Italia oggi?
«L'arte è un bene che necessita di clientela facoltosa e al momento l'erosione del reddito della classe media, accompagnata da una riduzione ventennale dei posti di lavoro, ha portato a una caduta della domanda di beni di antiquariato - i mercanti attivi si sono ridotti di tre quarti nell'ultimo quinquennio - mentre la diminuzione sensibile dei ricchi e i vincoli imposti fanno sì che i beni più importanti siano trattati a Londra, New York, Hong Kong, Ginevra e Zurigo».
L'Art advisory avrà un futuro?
«Attraverso il nostro Centro studi abbiamo scritto al premier una lettera di sensibilizzazione, pubblicata sul nostro sito, che non haricevuto risposta. Come preparazione,formazione,visione non abbiamo nulla da imparare ed è un abominio che i nostri giovani debbano guardare solo Oltreconfine per sperare di lavorare in questo comparto».
L'Art banking può dare un contributo?
«Sicuramente l'attività di consulenza artistica per le fasce più alte di clientela bancaria potrebbe essere una risorsa importante e ciò potrebbe portare liquidità al sistema, anche con l'auspicabile lancio di Fondi di investimento in beni artistici o con l'intervento nel settore degli operatori del private equity».
La sfida è di portare gli operatori dell'arte italiani a essere di nuovo protagonisti sullo scenario internazionale. Per vincerla - conclude Graziani - occorrono una legislazione liberale, formazione ecambio di mentalità. Altrimenti si rischia la scomparsa della produzione artistica italiana».
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