Guai nel Pd, quell'assegno da due milioni che l'ex presidente Penati non sa spiegare

Per i pm il versamento da 2 milioni di Gavio a Di Caterina sarebbe una rata della tangente per l’ex presidente. Gli inquirenti: la mazzetta è legata all'affare Serravalle. Di Caterina: "Depositi bancari a Montecarlo, Sudafrica e Dubai"

Guai nel Pd, quell'assegno da due milioni  
che l'ex presidente Penati non sa spiegare

Milano Per i pm, è la maxi tangente rossa. Anzi, una parte. Solo una piccola rata. È un assegno che rischia di inguaiare e non poco Filippo Penati e i Democratici. È datato 28 novembre del 2008, e a firmarlo è l’amministratore delegato di Codelfa spa. Il destinatario è la Caronte srl. È una caparra immobiliare fra il costruttore Marcellino Gavio e l’imprenditore Piero Di Caterina. Un affare inesistente, secondo Procura e investigatori della Guardia di finanza. Un pretesto per girare al politico del Pd due milioni di euro. Perché quei soldi? Per gli inquirenti, sono una tranche della mazzetta concordata tra i protagonisti del grande affare Serravalle, Gavio e Penati. Quando la Provincia di Milano sborsò 238 milioni di euro per il 15 per cento della società autostradale, e il costruttore incamerò una plusvalenza colossale da 179 milioni, 50 dei quali girati nella tentata scalata di Unipol a Bnl.

Pm e finanzieri, però, sospettano che quella sia solo una parte dello «sgobbo». E che ci sia altro denaro da cercare. Forse - come ha messo a verbale Di Caterina - «su conti esteri a Dubai, Montecarlo e Sudafrica». Insomma, la mazzetta su Serravalle sarebbe ancora da quantificare, ma l’asticella andrebbe ben oltre quei due milioni. È un calcolo matematico. Stando a quanto riferito da Di Caterina ai magistrati, infatti, la tangente era stata calcolata come percentuale dell’enorme profitto ottenuto dal gruppo Gavio. E per quanto minima, una percentuale su 180 milioni non può che superare i due di quell’assegno.

Poi c’è la «stecca in Lussemburgo». La definiscono così, i pm Walter Mapelli e Franca Macchia. Sono i soldi che Di Caterina, per conto di Penati, riceve dal costruttore Giuseppe Pasini. È la fetta della torta che l’ex braccio destro di Pierluigi Bersani chiede per l’affare della riqualificazione delle aree industriali ex Falck di Sesto San Giovanni. Una tranche dei 20 miliardi che sarebbero stati pattuiti tra il politico e Pasini. Altri documenti - pubblicati ieri dal Corriere della Sera - che imbarazzano l’ex sindaco della Stalingrado d’Italia.

È la storia del denaro che viaggia dall’Italia ai conti esteri, di cui anche il Giornale si è occupato nei giorni scorsi. Sono i bonifici che - anche grazie a due funzionari di Intesa Sanpaolo - sarebbero arrivati nella disponibilità di Penati. E che ora l’ex presidente della Provincia di Milano dovrebbe spiegare. Le carte sono allegate agli atti depositati dalla Procura di Monza, e raccontano di come l’uomo forte dei Democratici, attraverso Di Caterina, avrebbe intascato la mazzetta. E come arrivano in Lussemburgo quei milioni? Lo spiegano sempre i magistrati. «La banca - scrivono Mapelli e Macchia - accredita in Italia una somma di oltre 4 miliardi di lire che vengono trasferite a Intesa Luxembourg per l’acquisto di non meglio precisate obbligazioni, le quali il 28 marzo del 2001 vengono monetizzate, e il corrispettivo, ritirato in contanti da Di Caterina, viene depositato su un proprio conto aperto presso la stessa Banca Intesa Luxembourg.

L’anticipazione di credito - insiste la Procura - viene poi approvata nel settembre del 2001 dai vertici della banca». Eccole, dunque, le tracce documentali di quei versamenti. Nella partita, secondo i pm, avrebbe avuto un ruolo anche l’istituto di credito. Perché «la celerità nell’accredito della somma (non per un urgente intervento economico/finanziario ma per l’acquisto di obbligazioni) e la successiva movimentazione del denaro inducono a ritenere che la banca fosse assolutamente consapevole nell’illecito». Ipotesi smentita ieri dal consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera. «Non è emerso per ora, anche da approfondimenti interni, alcunché di non corretto da parte di nostri collaboratori.

Sul caso specifico collaboriamo con la magistratura».
Eccoli, i documenti che gettano un’ombra pesantissima sui Democratici.

Perché, per la Procura, lo schema è chiaro: Pasini paga, Di Caterina ritira, Penati incassa. O ancora, Penati paga (con soldi pubblici), e Gavio fa l’affare. Ma alla fine, secondo i pm, è sempre il partito che ringrazia.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica