È guerra: bombardata Beirut, missili su Haifa

L’attacco dei guerriglieri si abbatte anche su Naharyia e sul Quartier generale dell’esercito per il fronte settentrionale. Si teme che i 2 soldati catturati possano essere trasferiti in Iran

Gian Micalessin

Il Libano torna a far conti con il proprio destino. Rinato, risanato e ritornato agli antichi fasti dopo 25 anni di guerra civile, la creatura del defunto premier Rafik Hariri è di nuovo sull’orlo del baratro, di nuovo isolato dal mondo, di nuovo in preda ai venti di guerra. «Nulla in quel Paese è più sicuro». La considerazione cinica, ma sincera del capo di Stato Maggiore israeliano Dan Halutz fotografa la condizione di una nazione tornata foglia d’autunno. Le vittime delle incursioni israeliane, iniziate ieri mattina sopra l’aeroporto di Beirut e continuate su un reticolo di oltre cento obbiettivi sono una cinquantina, i feriti più di 120. La marina israeliana pattuglia le coste, impedisce a qualsiasi imbarcazione di entrare o uscire dalle acque territoriali. Anche l’autostrada Beirut-Damasco, ultimo cordone ombelicale tra il Paese e il resto del mondo, rischia di venir bombardata. Bombe sono invece cadute sulla superstrada Beirut-Sindone. Da ieri sera le batterie della marina israeliana battono i depositi di carburante dell’aeroporto già reso inutilizzabile dal raid aereo mattutino. Nubi di fumo denso e nero coprono la periferia della capitale, vampate arancio scintillano nel cielo della notte.
L’incubo israeliano è un nuovo caso Ron Arad, il pilota scomparso nel nulla nel lontano 1986 dopo esser finito nelle mani di Hezbollah. Non a caso il primo obbiettivo dell’operazione “Giusta Retribuzione”, come la chiamano gli strateghi dei comandi israeliani, è isolare il Paese. Secondo l’ambasciatore, Gideon Meir, vice direttore del ministero degli Esteri, Ehud Goldwasser e Eldad Regev, i due riservisti di 31 e 26 anni catturati giovedì mattina rischiano di finire in Iran, di scomparire per sempre. Proprio come Ron Arad il cui destino, vent’anni dopo, continua ad angustiare gli israeliani.
Ma neppure il nord d’Israele è più un Paese sicuro. Da ieri mattina una bufera di missili batte città e villaggi israeliani a sud del confine. Non gli imprecisi Qassam palestinesi, ma le batterie di katiuscia e i più sofisticati missili Thunder 1 arrivati negli ultimi mesi dall’Iran. Ordigni precisi e potenti, capaci di distruggere un’abitazione e di colpire con sufficiente precisione a 20, 40 e persino 70 chilometri di distanza. Il bilancio di due morti e oltre 120 feriti registrato dopo l’esplosione di un’ottantina di testate lo conferma. Nonostante i rifugi nei seminterrati d’ogni condominio i missili caduti ieri mattina su Naharyia, città sul Mediterraneo 15 chilometri a sud dal confine, hanno ucciso una donna e ferito 29 persone. Lunghe file di macchine cariche di bagagli e bambini hanno lasciato la città alla ricerca di zone più sicure. Colpito anche il quartier generale dell’esercito israeliano per il Fronte Nord, a Kiryat Shmona.
E ieri sera un’altra tempesta d’acciaio ha colpito la città di Safed ferendo 11 residenti. Ma i due colpi che più fanno sensazione sono quelli caduti sul lungomare di Haifa, oltre trenta chilometri a sud del confine. Quei due colpi, che testimoniano l’esistenza di testate capaci di tener sotto tiro tutto il nord d’Israele, rischiano di innescare una rappresaglia spietata. La minaccia di colpire il porto del nord era arrivata dopo il lancio su Beirut di volantini israeliani che invitavano a sgomberare Dahiya, il sobborgo meridionale di Beirut in cui vive Sayyed Hassan Nasrallah, carismatico capo di Hezbollah. «Colpite Haifa e abbatteremo i palazzi di Beirut», rispondeva a stretto giro di posta il capo di stato maggiore Dan Halutz. «Non siamo ancora in una vera guerra, ma in una crisi di grosse proporzioni che non finirà fino a quando risolveremo la situazione creatasi sul confine settentrionale», ha detto Halutz.
Dopo i colpi su Haifa tutto è possibile. Gli Hezbollah smentiscono, stranamente, il lancio dei due missili; Daniel Ayalon, ambasciatore d’Israele negli Usa, parla di «gravissima escalation» e qualcuno già ipotizza un allargamento del campo di battaglia fino a Damasco. Non che l’attuale sia ristretto o limitato. Gli aerei israeliani hanno colpito ieri sera l’aeroporto di Rayak, la principale base aerea dell’aviazione libanese, 50 chilometri a est di Beirut, al confine con la Siria. Altre bombe sono poi piovute sul piccolo aeroporto di Qulayaat nel nord. L’intero sud del Paese è devastato. Nel villaggio di Dweir si contano almeno 7 morti, in quello di Baflay altri sette. Gli uffici e almeno due ripetitori di Al Manar, la televisione con cui Hezbollah diffonde il proprio “verbo” in tutta la regione sono stati colpiti. Dalle macerie sono stati estratti un cadavere e dieci feriti. Al Manar, però, trasmette ancora, promette durissime rappresaglie, irride Israele.
Meno irridente invece il governo libanese di Fuad Siniora che vede la catastrofe alla porte, invoca un cessate il fuoco, chiede una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza.

Ma per l’implacabile Dan Halutz la responsabilità è tutta sulle spalle del governo di Beirut, colpevole di non aver proceduto al disarmo di Hezbollah richiesto dalla risoluzione Onu del 2004. «Se non sono capaci di tenere a freno il terrore dobbiamo combattere anche contro di loro, devono capire che stanno pagando il prezzo della propria apatia».

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