In guerra il miglior amico è un rullino

Il digitale manda fuori produzione il Kodachrome che ha illustrato il ’900. Un inviato racconta le avventure in Palestina, Asia e Africa vissute con la macchina fotografica al collo

In guerra il miglior amico è un rullino

La calca di giornalisti e fotografi delle più grandi testate al mondo, che attendeva al varco Yasser Arafat, in ritirata da Beirut nel 1982 davanti ai carri armati israeliani, mi sembrava insormontabile. Armato di un paio di “vecchie” macchine fotografiche reflex, penzolanti al collo, pensai bene di aprire la portiera dell’ultima vettura di scorta. Dalla Mercedes scassata spuntò la canna di un fucile Kalashnikov. In inglese stentato riuscii solo a dire che ero un giornalista italiano e volevo fotografare il capo dei palestinesi. La guardia del corpo con il kalashnikov in pugno mi rispose con un rassicurante accento bolognese: «Ho studiato in Italia, salta su». Grazie al colpo di fortuna passai la canea dei giornalisti e tutti i posti di blocco. Unico fotografo presente mi tremavano le mani, mentre scattavo a raffica l’addio di Arafat da Beirut. Alla fine tirai fuori il rullino di diapositive che pensavo fosse il migliore e mi presentai all’hotel Cavalier a Beirut ovest. Per un pugno di dollari lo comprò Time. Rudi Frey, il capo dei fotografi del mitico settimanale americano, guardò i suoi e disse: «Questo giovane free lance vi ha fregato». Il rullino arrivò con un autista a Damasco, dove un pilota che volava in Occidente lo consegnò ai corrispondenti del Time. Alla fine sbarcò a New York in tempo per l’edizione del settimanale sulla guerra in Libano.
Dallo scorso mese non ci sono più rullini da sviluppare. Le ultime scatole di Kodachrome sono state prodotte nel giugno 2009, numero di emulsione 1563, scadenza novembre 2010. Un mondo si è spento travolto dalla rivoluzione fotografica digitale. Oggi scatti, guardi se la foto è venuta bene, nel caso la cancelli e rifai l’inquadratura. Poi mandi le immagini via posta elettronica, dal deserto iracheno o dalle montagne afghane ed in redazione te le sparano in pagina in un attimo.
La leggendaria pellicola ha fatto la storia fotografica del ’900, ma fino allo sviluppo, che poteva arrivare settimane dopo, non sapevi mai se l’esposizione era corretta, i tempi giusti e l’immagine pubblicabile. Ora che non esiste più è doveroso tessere l’elogio del rullino estinto. Una specie di onore delle armi ad un mondo d’altri tempi, dal sapore quasi antico, ma legato a mille avventure nei reportage di guerra.
Nel 1987 incontrai per la prima volta il carismatico comandante Ahmad Shah Massoud, che guidava i mujaheddin contro l’Armata rossa in Afghanistan. Molti anni dopo, ultimo baluardo contro i talebani, diventerà la prima vittima dell’11 settembre ucciso da Al Qaida alla vigilia dell’attacco all’America. Lo immortalai con un rullino Kodachrome mentre combatteva sull’Hindukush. Al ritorno verso il Pakistan mi catturarono i filo sovietici. Nascosti nei sacchi di biada del cavallo, che mi faceva da facchino, c’erano le pellicole di una cinepresa Super 8 ed i rullini fotografici realizzati in due mesi di reportage. I proiettili che fischiavano dappertutto fermarono me, ma non il cavallo che lanciai verso le linee dei mujaheddin. Rullini e filmati furono recuperati e per l’anniversario dell’invasione sovietica del Natale ’87 la Cbs mandò tutto in onda. Pochi giorni dopo il governo di Kabul ammise di avermi sbattuto in galera. I rullini ed i filmati mi avevano, con tutta probabilità, salvato la vita. Due anni dopo, a Kabul cercarono di ammazzarmi con un camion militare. La ruota davanti mi passò sopra a tal punto che un rullino, nel giubbotto mille tasche da fotografo, divenne piatto come cento lire.
La pellicola è legata a tanti ricordi, come lo scatto dei Pasdaran, i Guardiani della rivoluzione iraniana, che correvano allineati sotto la neve, a piedi scalzi e torso nudo, gridando «abbasso l’America» e finito su Time-Life. Stiamo parlando degli anni Ottanta, del carnaio della guerra Iran-Iraq, quando i rullini venivano coccolati. Magari non c’era nulla da mangiare e piovevano le bombe, ma il rullino doveva stare al sicuro e alla temperatura giusta.
Impresa ardua all’Equatore, nell’Africa rosso sangue, dove con la pellicola ho immortalato per sempre gli orrori dei mucchi di cadaveri in Uganda o del genocidio in Ruanda. Ogni volta che dovevo caricare la macchina e scattare immagini di corpi straziati dalla furia umana mi accendevo un piccolo sigaro, perché il fumo aiuta a superare il lezzo dolciastro della morte che ti fa vomitare.
Il canto del cigno dei rullini è cominciato con la guerra che ha fatto a pezzi la Jugoslavia. Le ultime diapositive le ho scattate in Kosovo, quando i guerriglieri dell’Uck cominciavano a punzecchiare i serbi.

Finito in un’imboscata assieme ad una colonna di kosovari in fuga con armati, feriti, donne e bambini sono rimasto tagliato fuori dalle raffiche e dalle granate di mortaio. Scappando nella foresta pensavo solo a riportare a casa la pellaccia e gli ultimi rullini delle fotografie di guerra.
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