"Combatteremo fino alla fine". Le ragioni di Netanyahu contro le ambizioni di Sinwar e la tregua lunga e pericolosa

Il capo del governo sa che Hamas aspetta solo il tempo per riorganizzarsi. Liberati gli ostaggi, si torna alle armi

"Combatteremo fino alla fine". Le ragioni di Netanyahu contro le ambizioni di Sinwar e la tregua lunga e pericolosa
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Al 54esimo giorno di guerra Israele sembra essersi innervosita parecchio alla pubblicità dell'ipotesi ripetuta all'infinito sui media di uno scambio «tutti contro tutti» accompagnato dalla possibilità di una tregua a tempo indefinito e dall'impegno a risparmiare i capi di Hamas, specie Sinwar e Mohammed Deif.

Mentre ieri si preparava infatti il sesto rilascio dopo 61 ostaggi e 150 palestinesi, cioè dieci israeliani più due israeliane con passaporto russo, e si rendeva nota la possibilità non solo di altri due giorni sempre così formulati con uno scambio col triplo di palestinesi, ma di una prosecuzione forse di dieci giorni, forse a lungo termine, l'idea disegnava una conclusione in cui Hamas di fatto veniva tenuta buona con una smilitarizzazione sostanziale della Striscia mentre lentamente i più di 200mila, soldati delle riserve, ora dislocati nel Nord, avrebbero dovuto di fatto iniziare un ritiro e restare congelati.

Un'ipotesi aggravata dal fatto che Hamas, come ha fatto martedì per tre volte, gli spara addosso impunemente. Ora sono stati feriti, domani potrebbero essere un morto in più sulla già lunga lista di 50 perduti in guerra, dopo il 7 ottobre. È stato quando questa ipotesi cominciava, nel pomeriggio, ad apparire anche come una fonte di discussione politica che Netanyahu ha parlato alla tv: «Mi hanno chiesto se tornerò a combattere dopo questo stadio di ritorno degli ostaggi e la risposta è inequivoca, non esiste al mondo che io non torni a combattere fino alla fine. Ho tre scopi, distruggere Hamas, il ritorno degli ostaggi, la liberazione definitiva di Gaza». Questo significa prima di tutto fare piazza pulita dell'idea «tutti contro tutti» ripetuta ieri all'infinito come si dice vorrebbe Sinwar: 8mila palestinesi fuori, persino gli assassini dei pick up che hanno compiuto la mostruosa strage del 7 ottobre.

Accettare qualsiasi tregua di media o lunga durata significherebbe dare la possibilità a Hamas di riposare, ricostruire i depositi di armi, le riserve di cibo, medicine, benzina; vorrebbe dire creare nel Medio Oriente l'idea che Israele è debole, non è più capace, con l'esercito migliore e con la morale più forte, di recuperare la deterrenza che aveva prima del 7 ottobre. Se Israele non torna in tempi brevi e vittoriosamente a combattere avrà 200mila riservisti sul terreno dopo che hanno lasciato il lavoro e le famiglie per combattere. Al Nord, fra le rovine, Hamas ancora controlla gallerie e rifugi da cui nei giorni scorsi sono stati mandati fuori bambini e donne israeliani. Hamas vuole tornare al potere con cui il 6 ottobre ha preparato l'attacco, e prepararne ancora. Gode dell'entusiasmo oltre che dell'aiuto dei grandi alleati che disegnano dalla Russia all'Iran una fascia di protezione. In loro Sinwar vede la sua assicurazione sulla vita.

Khamenei in un solenne indirizzo ai Basiji ha dichiarato che «Hamas ha cambiato il panorama geopolitico a favore dell'asse della resistenza promuovendo la deamericanizzazione dell'area». Un ruolo strategico. E un regalo che l'Onu sembra condividere quando il voto dell'assemblea destina ad Assad, altro amico di Hamas, il Golan, disegnando un'eventuale ulteriore strage in cui Assad è esperto; e anche Josep Borrel ha tenuto un discorso all'Unione europea che, in un incredibile mucchio di frasi stantie, ha anche paragonato più volte la violenza del 7 novembre all'autodifesa di Israele.

Sinwar muove tutte le sue pedine per rilanciare sempre più in largo perché conta anche sul fatto che Israele ha sviluppato nei confronti delle famiglie dei rapiti un enorme senso di responsabilità; li conosce e li difende uno a uno, ed è indubbio che quando i giochi di Sinwar si faranno troppo pesanti, puntando specie sui soldati nelle sue mani, Israele saprà reagire.

Pure il popolo ebraico è consapevole, specie dal 7 ottobre, di dovere innanzitutto difendere la sua esistenza e il suo significato di scudo di difesa. Difendendo se stesso e tutta la civiltà cui appartiene. Certo è pieno di amore, ma anche di soldati ben preparati che non vogliono più vedere le case, le città, esposte all'intenzione genocida di Hamas.

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