"Accordo vicino sugli ostaggi". Ma Israele smentisce

Secondo il New York Times, l'intesa per la scarcerazione dei 136 tra civili e militari ancora detenuti nella Striscia di Gaza potrebbe essere raggiunta tra due settimane. Tel Aviv nega

"Accordo vicino sugli ostaggi". Ma Israele smentisce
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Forse la svolta è più vicina di quanto si pensi. Secondo il New York Times, i negoziati per la liberazione dei 136 ostaggi catturati il 7 ottobre 2023 nella Striscia di Gaza e tuttora trattenuti da Hamas e dalle altre fazioni armate palestinesi sarebbero a buon punto. Nella bozza d'accordo, che verrà discussa durante i colloqui in programma oggi a Parigi guidati dagli Stati Uniti e a cui parteciperanno mediatori provenienti dell'Egitto e del Qatar, Israele otterrebbe il rilascio graduale di tutti i prigionieri in cambio di un cessate il fuoco complessivo di due mesi.

Nella prima fase della tregua, i terroristi dovrebbero scarcerare le donne, gli anziani e i feriti. Allo scoccare dei 30 giorni, le parti dovrebbero poi accordarsi per una seconda pausa e per le modalità e i tempi di rientro dei militari e degli uomini ancora in mano ai jihadisti. È previsto anche da parte israeliana l'impegno ad ampliare gli aiuti umanitari ai civili a Gaza, oltre alla scarcerazione dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. L'intesa potrebbe concretizzarsi tra due settimane, secondo le fonti citate dal quotidiano statunitense che rimarcano l'importanza di questo sforzo diplomatico per poter giungere a una conclusione del conflitto in cui sono già morte almeno 25mila persone.

Aleggia un "cauto ottimismo" sullo stato della trattativa, nonostante le posizioni dei due schieramenti non siano mai state così distanti: da un lato infatti Tel Aviv si rifiuta di legittimare l'organizzazione che controlla la Striscia e pensa già al futuro del territorio in guerra senza di essa; dall'altro, il gruppo islamista vorrebbe che la cessazione delle ostilità avesse carattere permanente e non temporaneo. I negoziatori stanno lavorando per trovare una via di mezzo che possa accontentare entrambi.

Domenica, tuttavia, fonti dell'esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu hanno smentito la notizia del New York Times, parlando invece di qualcosa che "potrebbe riflettere un pio desiderio da parte degli americani, o il tentativo di creare l'apparenza di un accordo", aggiungendo "vorrei che fosse vero, ma purtroppo non lo è". La testata israeliana Yedioth Ahronoth scrive che allo Stato ebraico non risulterebbe nessun progresso nelle discussioni con Hamas, fermo sulla posizione di un cessate il fuoco duraturo.

Ieri i familiari degli ostaggi si sono riuniti vicino alla residenza del primo ministro Benjamin Netanyahu per protestare contro il governo, mostrando le foto dei 136 tra civili e soldati rapiti lo scorso autunno. Lo scontro tra Netanyahu e i parenti degli israeliani sequestrati si è riacutizzato dopo una dichiarazione alquanto controversa del premier, che aveva criticato le manifestazioni per il rilascio degli ostaggi in quanto "rafforzerebbero le richieste di Hamas". Non si è fatta attendere la replica del Forum delle famiglie degli ostaggi: "Le famiglie – afferma l'organizzazione – incontrano i leader mondiali, guidano gli sforzi per il trasferimento di medicinali agli ostaggi, hanno portato in Israele il presidente della Corte penale internazionale e mobilitato i media e i principali influencer a sostegno di Israele e degli ostaggi".

Netanyahu ha quindi cercato di gettare acqua sul fuoco e in un comunicato diffuso nella giornata di sabato dal suo ufficio si legge

che "ad oggi abbiamo restituito 110 ostaggi e siamo impegnati a riportarli tutti a casa" e che "ci stiamo occupando di questa situazione e lo stiamo facendo 24 ore su 24, anche in questo momento".

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