Hinan, tre anni, è morta sola Vano il sacrificio del fratello

nostro inviato a Viareggio (Lucca)

«Si comunica il decesso della paziente ricoverata ieri in Area Rossa per ustioni gravi che riguardavano più del 95 per cento della superficie corporea. Il decesso è avvenuto in data odierna alle 6.30, per insufficienza respiratoria e successivo arresto cardiaco».
Fa strano quando un bollettino medico si trasforma, per l’ultima beffa del destino, in una pietra tombale senza un nome e un cognome. Fa strano perché, se è vero che si può morire in mille modi, persino nel più assurdo dei modi, quando una torcia di fiamme, alta quaranta metri, uscita come un mostro da una cisterna di gpl che passava per caso, ti scioglie la casa e la vita, è pur vero che una bimbetta di tre anni non può morire così. Sola. Senza che qualcuno, una madre o un padre, le stringa forte la piccola mano per trattenere, disperatamente, al di qua del mondo, il suo ultimo alito di vita. Senza che qualcuno abbia l’amore e la forza, soprattutto, di chinarsi a darle un bacio sui pochi centimetri di pelle del suo corpo lacerato che non siano stati strappati e carbonizzati da quella torcia malefica.
Era arrivata al «Bambin Gesù», avant'ieri, in elicottero da Viareggio, alle prime luci dell'alba, la bimbetta senza nome. E subito era stato trambusto tra medici e infermieri. Quello che c’è, ci dovrebbe essere sempre, quando arriva un caso del genere. Ma stavolta era sembrato diverso. Come se gli sbuffi mortali, esalati dal deragliamento della Versilia, invadessero, nei primi istanti di quell'allarme, anche il padiglione Pio XII, al primo piano, dove altri bambini stavano soffrendo. Dove la bimba, senza un nome né un cognome, trova un letto e una stanza asettica, e tanta gente in camice che comincia a girarle attorno, con la tensione di chi non può perdere un secondo.
Altri bambini che soffrono significano mamme e papà. Ma la bimba depositata dalla cicogna dell'elisoccorso, non si porta appresso genitori, né un fratello, né una sorella.
Non ha nessuno che trepida, accanto a lei, oltre a quelle persone in camice. Così le altre mamme e gli altri papà del «Bambin Gesù», che hanno i loro buoni motivi per preoccuparsi, rimangono interdetti, sbirciando quella bimba disperatamente sola e disperatamente grave. Poi, pian piano la notizia si sparge. La bimba, che sembra non avere nessuno, perché la sua famiglia, si saprà 36 ore dopo, è stata inghiottita dalle fiamme, arriva dall'apocalisse di Viareggio. C'è quanto basta, tra la gente del «Bambin Gesù», per aprire il cuore ai buoni sentimenti. Per adottarla collettivamente, per cominciare, chi a pregare e chi a chiedere notizie, come fosse una figlia. Come fosse la figlia di tutti coloro che sono nei corridoi a trepidare per qualcun altro. Fino a una nuova alba, quella di ieri, quando arriva a gelare tutta la «famiglia» che nell'ospedale romano l'aveva adottata, lo scarno, inappellabile comunicato sulla fine della sua lotta disperata.
Come disperato, addirittura inutile si potrebbe dire, se non suonasse come un'eresia, il gesto di chi aveva cercato di salvare quella bimba, suo fratello Hamza. Il diciassettenne immigrato marocchino che, da vero, grande eroe, l'altra notte era rientrato nella casa in fiamme di via Ponchielli proprio per prendere in braccio e portar fuori lei. La piccola che, mentre scriviamo queste righe un nome ce l'ha, o forse potrebbe averlo, considerata la confusione che regna ancora in questo deserto di cenere e macerie: Hinan. Hamza aveva girato, da una stanza all'altra per trovare la sorellina, ed era riuscito lunedì notte a metterla in salvo, ma poi, stremato, non ce l'ha fatta: è svenuto ed è morto asfissiato e carbonizzato. Vivevano tutti nella casa colpita per prima dall’esplosione a ridosso della stazione. La piccola Hinan di tre anni, suo fratello Hamza il ragazzino-eroe che aveva fatto persino un corso di primo intervento e sognava, un giorno, di guidare le ambulanze. E i loro genitori. La mamma Aziza ricoverata in rianimazione all'ospedale Versilia, il padre, Mohammed, trasportato a Cesena altrettanto grave, con gran parte del corpo ustionato. Ecco perché non c'era nessuno ieri all'alba quando la piccola senza nome, moriva. Ecco perché Ibtizen Ayad, la sorella maggiore, 21 anni, cameriera in un ristorante viareggino, unica sopravvissuta di questa famiglia distrutta non può fare altro che piangere e disperarsi.

Rivivendo l'incubo che si porterà dentro, per sempre: «Ho sentito papà dal piano di sopra - racconta Ibi, come la chiamano le amiche, nella stanza che le è stata data per stare accanto alla madre - che ci urlava di scappare, c'era un insopportabile odore di gas e tanto fuoco. Io sono corsa via. Ho saputo solo dopo che mio fratello era morto e che ora se ne è andata anche la mia sorellina. Perché? Perché?».

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