I carri armati israeliani a un passo da Gaza City

Gian Micalessin

Finita con Beit Lahiya si rincomincia da Gaza City. Il micidiale, anche se poco intelligibile, gioco a rimpiattino dell’esercito israeliano ora punta sulla principale città della Striscia. Truppe e carri armati si sono attestati ieri a 500 metri dai sobborghi di Zeitun e Shajaiyeh, mentre altre unità operavano nella zona di Karni, il principale valico commerciale tra i Territori palestinesi e quelli israeliani.
Mentre i tank gli bussano alla porta di casa, il premier di Hamas, Ismail Haniyeh, butta là una richiesta di tregua, subito respinta dal governo israeliano. «Israele fermi le operazioni militari nella Striscia e si ritiri», chiede il premier dell’Autorità nazionale palestinese senza promettere nulla in cambio e accennando a un non ben definito negoziato. «Tutti devono fare maggiori sforzi per risolvere la crisi e la questione del soldato attraverso seri negoziati», aggiunge Haniyeh, che però boccia la richiesta del presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, di arrestare i lanci di missili Qassam definendola un cedimento al nemico.
Il due di picche del governo di Ehud Olmert non si fa attendere. «Non negoziamo con i terroristi, devono restituirci il soldato e mettere fine agli attacchi, decideremo i nostri passi in base alle loro mosse», spiega un suo portavoce. Israele ribadisce insomma la linea della fermezza pretendendo la liberazione del caporale Gilad Shalit e la fine del lancio di missili Qassam per concedere, in un secondo tempo, un eventuale rilascio di prigionieri palestinesi.
A due settimane dalla cattura del caporale, entrambe le parti sembrano comunque alla ricerca di una via d’uscita, di un compromesso capace di salvare la faccia e garantire la sopravvivenza politica. Ne ha un disperato bisogno Ismail Haniyeh, combattuto tra le beghe interne di Hamas, la rivalità con il presidente Mahmoud Abbas e il rischio di finire lui stesso prigioniero, o peggio, degli israeliani. Ne ha urgente necessità Ehud Olmert, obbligato a riportare a casa l’ostaggio senza mostrare cedimenti, ma anche garantendo la sopravvivenza di programmi e alleanze di governo logorate ogni giorno di più dalla guerra di Gaza. E qualcuno nel suo esecutivo già pensa all’opportunità di trattare una tregua di lunga durata. «C’è interesse a cambiare le regole del gioco. Se arrivassimo a una situazione senza più rapimenti, attacchi, tunnel, missili e attacchi sui nostri territori, Israele allora dovrebbe comportarsi con reciprocità», diceva ieri Pines Paz, esponente laburista del governo e del gabinetto di sicurezza.
Per ora, comunque, tutti hanno le mani legate. La guerra lampo di Beit Lahiya, combattuta con feroce determinazione e abbandonata repentinamente per il nuovo fronte di Gaza, è il simbolo delle indecisioni di Olmert. L’obiettivo di creare una fascia di sicurezza per impedire i lanci di missili Qassam sembra già abbandonato. Restano solo la dimostrazione di forza e la promessa di un rapido ritorno in caso di nuovi lanci. Poco chiari anche gli obiettivi dell’avanzata di dozzine di tank e blindati nella zona di Shajaiyeh, di Zeitun e Karni. L’incursione è finora costata la morte di almeno quattro combattenti palestinesi, colpiti ieri dai missili degli elicotteri israeliani. Ufficialmente l’esercito va alla ricerca dei tunnel utilizzati nei dintorni di Karni per introdurre armi, munizioni ed esplosivi nei territori israeliani. Non è invece chiaro se le ricerche condotte alle propaggini di Shjaiyeh e Zeitun puntino a nascondigli, depositi di armi o, magari, alla prigione in cui potrebbe essere detenuto il caporale catturato.
Il dispiegamento alle porte di Gaza viene anche visto come un tentativo di acuire la pressione sulla dirigenza di Gaza per ottenere una liberazione senza condizioni del militare catturato. Benché l’80 e passa per cento degli israeliani appoggi l’eliminazione dei capi di Hamas, i vertici dell’apparato politico e militare non sembrano concordi sull’opportunità di far fuori o arrestare il premier, lasciando l’organizzazione nelle mani del leader in esilio Khaled Meshaal, considerato l’ideatore del rapimento di Gilad Shalit.
A gettare benzina sul fuoco da lontano ci pensa intanto il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, chiedendo la mobilitazione contro Israele, definito «il principale problema del mondo islamico».

Per il presidente ultraconservatore è ormai tempo di «creare un legittimo Stato palestinese», perché la sopravvivenza del «fasullo regime sionista» porta «solo sofferenza» e rappresenta «la maggiore minaccia per la regione».

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