I dissidenti: false le regole di Parisi per Kabul

La sinistra radicale: «La condizione per l’intesa è che non cambino le procedure d’ingaggio». Ma così i nostri soldati rischierebbero di più

Emanuela Fontana

da Roma

I soldati italiani rischiano di rimanere in Afghanistan con regole di ingaggio da peacekeeping circondanti da un territorio ostile a tal punto che la Nato ha modificato la missione in «combat». È l’allarme che lanciano i politici da sempre contrari al rifinanziamento della missione soprattutto dopo che la Nato ha chiarito che «le regole d’ingaggio sono cambiate dal 4 maggio scorso, in vista dell’allargamento della missione nel sud. E sono cambiate per tutti i militari che partecipano». Gennaro Migliore, capogruppo di Rifondazione alla Camera, spiega che una delle condizioni per la firma del rifinanziamento è stata che non fossero modificate le regole d’ingaggio e che, qualora arrivasse una richiesta dalla Nato, «l’Italia non la può accogliere perché la legge non lo prevede».
Ma la contraddizione di fondo sta emergendo, e alcuni deputati e senatori lo segnalano. A partire dal gruppo dei «dissidenti» del Senato che hanno annunciato il loro «no» al decreto: «Non è possibile che il contingente non si sposti da Herat - spiega il senatore di Rifondazione Gigi Malabarba -. Anche i nostri sono andati nelle caverne per dare la caccia ai talebani. Se non ti adegui alle regole d’ingaggio del “combat” si crea una situazione di grande rischio per i nostri militari. Sarebbe uno scenario pericolosissimo, come è già successo in Irak». È dunque un’«ipocrisia», a suo avviso, sostenere che rimaniamo in Afghanistan, «ma senza modificare le regole d’ingaggio. I talebani si stanno riorganizzando in modo molto pericoloso e se vuoi rimanere in quel teatro devi avere gli strumenti adeguati. Dal punto di vista militare, paradossalmente è giusto e coerente modificare le regole d’ingaggio. L’Italia non può dire di no alla richiesta della Nato. A meno che non ce ne andiamo». Ed è quello che vogliono i dissidenti, che si augurano che fino all’ultimo sia consentito loro di presentare in Senato gli emendamenti e il loro voto negativo.
«Se l’Alleanza prende una decisione, questa è superiore alle regole dei Paesi interni - chiarisce il senatore dei verdi Mauro Bulgarelli - . Se i nostri soldati, come capita, fanno la scorta ai militari americani, devono avere le stesse tutele e dunque le stesse regole d’ingaggio. Per questo vogliamo riportarli a casa. Prima di militari - ricorda Bulgarelli - sono cittadini e il dovere dei parlamentari è quello di tutelare i cittadini italiani».
Migliore chiarisce che il voto alla Camera è stato frutto di un accordo che ha posto «alcune garanzie» per chi voleva il ritiro.

Ma se arrivasse una richiesta ufficiale della Nato per la modifica delle regole d’ingaggio che l’Italia non sta cambiando? È «un motivo in più per andarcene dall’Afghanistan - riflette l’europarlamentare del Pdci Marco Rizzo -. Si mettono ancora più in pericolo tra l’altro i nostri soldati. Se dovessero avvenire dei cambiamenti nel ruolo dell’Italia in quel territorio, il governo deve come minimo comunicarlo al Parlamento».

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