I domiciliari? Nell’alloggio occupato

Succede a volte che tocca pure fare di corsa, per metterci una pezza prima che sia tardi. Come è accaduto un anno fa. Giugno 2009, in via Lopez. In quel di Quarto Oggiaro, il Comune c’è riuscito appena in tempo. In tre abitavano nell’appartamento al civico 8, in uno stabile pubblico. Ci abitavano una donna, il figlio e il convivente, dopo averlo occupato abusivamente. E se ghisa e poliziotti non si fossero sbrigati, quel 27 giugno, con ogni probabilità i tre sarebbero ancora al loro posto. Perché l’uomo e il ragazzo - finiti in carcere per spaccio di droga - avevano chiesto al giudice che venissero loro concessi gli arresti domiciliari. Dove? In via Lopez, ovviamente. Nella casa occupata. E allora sì che lo sgombero - di fronte a un’ordinanza del tribunale - sarebbe slittato alle calende greche. È un caso, ma non è l’unico. È il sistema che si mette i bastoni tra le ruote da solo. Da un lato, un’autorità che chiede la liberazione degli alloggi abitati illegalmente. Dall’altra, un’altra autorità che in qualche modo lo impedisce.
Un classico del cortocircuito è il rom messo ai domiciliari nel campo rom (irregolare). Poi ci sono gli appartamenti destinati alle famiglie che aspettano da anni annaspando tra liste e graduatorie, e che non possono essere assegnati proprio a causa delle occupazioni. E infine, sfiorando l’assurdo, c’è via Lopez. O come via Lopez, corso Garibaldi. È a due passi dal centro, infatti, che la storia si è ripetuta. Un palazzo quasi signorile al civico 65, e in una zona di pregio. È raro trovarne così, di case popolari. Per questo, avrà pensato di avere una grande fortuna il pregiudicato russo - con precedenti per rapina e furto - che da due anni occupava un bilocale di 50 metri quadrati al piano rialzato. Quell’appartamento è stato sgomberato solo martedì scorso. Potevano farlo prima, gli agenti della polizia locale? No, perché tra quelle mura il malvivente stava scontando gli arresti domicialiri. Così aveva stabilito il giudice. E al Comune è toccato aspettare. «Abbiamo dovuto aspettare i comodi di quel pregiudicato - sbotta il vicesindaco Riccardo De Corato -, ovvero che finisse di scontare la pena per poterlo liberare. Un lusso assurdo e non nuovo». Perché nemmeno in corso Garibladi si è toccato il fondo. È spostandosi a Nord, nel quartiere Niguarda, che si incontra la storia più assurda. Quella di Anna Cardinale, finita in manette con l’accusa di aver gestito il racket delle case popolari e trasferita - dopo un periodo a San Vittore - ai domiciliari perché in stato di gravidanza. Nemmeno a dirlo, a Niguarda. Nella casa che occupava da anni assieme alla madre, e da cui gestiva i suoi affari. E cosa faceva, la Cardinale, mentre scontava la pena tra le mura del «suo» appartamento? Lo scrive Andrea Ghinetti, un altro giudice. Quello che - questa volta - la rispedisce in carcere. «Riprendeva immediatamente a esercitare il controllo del territorio - spiega il magistrato -, con condotte intimidatorie di natura para-mafiosa». Il 3 marzo scorso, finalmente, lo sgombero viene portato a termine. E due appartementi vanno alle famiglie in graduatoria.
«Con questa pratica assurda - commenta ancora De Corato - ci troviamo avanzi di galera negli stabili comunali occupati abusivamente. Una volta insediati, poi, non si può smuoverli finché non hanno scontato la pena, e con Questura e Prefettura dobbiamo riprogrammare il calendario degli sgomberi.

Eppure basterebbe qualche incrocio dati per ovviare a questo paradosso. Come si fa a indicare un domicilio per cui pende una denuncia per occupazione abusiva?». La soluzione, per De Corato, non è poi così difficile. «Non hai la casa e hai rapinato? Sconti la pena in carcere, al fresco».

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