I legionari del terrore a caccia di italiani

L’uccisione del nostro alpino in Afghanistan e la strage di cristiani in Egitto sono opera di professionisti della guerra che non scelgono a caso date e obiettivi. E che hanno come scopo scatenare violenze a catena

La morte in Afghanistan di un giova­ne alpino veneto e la strage di cristiani in Egitto hanno qualcosa di inquietante in comune. Non solo perché il lutto ci ha colpito in un momento di festa, per noi occidentali, come l’ultimo giorno del­l’anno. I due attacchi, a migliaia di chilo­metri di distanza, dimostrano un eleva­to livello di preparazione e addestra­mento, che solo stranieri votati alla guer­ra santa o emuli locali di al Qaida, istrui­ti da professionisti del terrore interna­zionale, possono portare a termine. Il cecchino che ha fulminato il capo­ral maggiore Matteo Miotto ed il terrori­sta suicida saltato in aria contro i fedeli di Alessandria sono accomunati dalla stessa determinazione, in nome della battaglia senza confini contro gli infede­li. Con l'aggiunta che forse sono stranie­ri e sicuramente non si tratta di sempli­ce manovalanza reclutata all'ultimo mi­nuto per un pugno di dollari. In Afghanistan il cecchino ha sparato colpi singoli a 500-600 metri di distan­za. Uno dei primi proiettili ha colpito il caporal maggiore del 7˚ reggimento al­pini di guardia in un avamposto nella famigerata valle del Gulistan. Un colpo del genere non dipende dalla fortuna, ma da un tiratore scelto «particolarmen­te in gamba e ben addestrato», spiega a «Il Giornale » una fonte militare. Gente preparata ad arte nelle aree tribali pachi­stane, non certo il talebano di giornata, che imbraccia un kalashnikov per 2-3 dollari al giorno con lo stile dell’armata Brancaleone. Cecchini del genere sono solitamente ex militari, oppure professionisti della guerra santa, come ceceni, uzbeki e ara­bi, che magari hanno combattuto sui fronti di casa loro aderendo alle brigate internazionali di al Qaida. Tiratori scelti si erano già fatti notare negli scontri con gli italiani colpendo con il Dragunov , fucile di precisione rus­so, i finestrini anti proiettile dei Lince, dalla parte del conduttore, per bloccare il blindato. Non solo: la stessa base dove è morto Miotto era già stata fatta ogget­to di colpi mirati il 25 dicembre, il gior­no di Natale. Il calendario islamico del­l’Afghanistan è diverso dal nostro, ma sembra quasi che il cecchino puntasse a fiaccare il morale dei nostri soldati ucci­dendo nei giorni delle festività occiden­tali. L’impronta «straniera» in Gulistan trova riscontro nelle segnalazioni dell' intelligence americana sulla presenza di cellule di al Qaida. Il nemico numero uno era mullah Akthar, che «aveva con­tatti diretti con i capi talebani ed alti esponenti di al Qaida». Il 16 luglio i cor­pi speciali hanno distrutto un campo di addestramento per volontari stranieri uccidendo Akhtar. Un mese dopo l' intel­ligence continuava a segnalare elemen­ti di al Qaida in tre distretti meridionali, compreso il Gulistan. A poche ore di distanza dall’isolata morte di Miotto in Afghanistan un atten­tatore suicida, a bordo di una macchina minata, ammazzava in Egitto 17 cristia­ni copti nella loro chiesa di Alessandria. Secondo il presidente, Hosni Mubarak, l’attentato «ha l’impronta di elementi stranieri». L’Emirato islamico dell’Iraq, una costola di al Qaida che si è già distin­ta nel massacrare i cristiani, aveva mi­nacciato i copti. Dopo la strage nella cat­t­edrale di Bagdad i terroristi hanno invi­tato a colpire in Egitto. Il pretesto è la confusa storia di due donne copte, con­vertite all’Islam, che sarebbero state se­gregate dalla comunità, proprio per il lo­ro cambio di fede. Vero o falso che sia, la minaccia ai copti egiziani circolava su internet, assieme ad una lista di obietti­vi, compresa la chiesa di Alessandria at­taccata la notte di Capodanno. Però le frange locali, come i «Fratelli musulmani», mai tenere con i cristiani, avevano fermamente condannato le mi­nacce. Il presidente Mubarak, che è so­pravvissuto all’attentato in cui fu ucciso il suo predecessore, Sadat, ha sempre usato il pugno di ferro contro i terroristi. Quando rialzano la testa fanno riferi­mento ad Ayman al Zawahiri, il medico egiziano braccio destro di Osama bin La­den. Per destabilizzare il Paese puntano alla guerra di religione e colpiscono ci­clicamente i cristiani con l’obiettivo di scatenare una reazione a catena. Non a caso subito dopo la strage di Alessan­dria sono scoppiati incidenti fra copti e musulmani. Le cellule della guerra san­ta sopravvissute alla repressione vengo­no rinforzate da chi ha combattuto in Iraq ed in Afghanistan. Il terrorista suici­da che si è fatto esplodere davanti alla chiesa potrebbe essere uno di questi ve­terani del Jihad internazionale.

Un filo rosso lega l’Egitto, il bubbone afghano e lo stesso Zawahiri, nascosto nell’impenetrabile area tribale a caval­lo fra il Pakistan e il Paese al crocevia dell'Asia, dove un altro professionista della guerra santa ha ucciso il giovane alpino italiano.
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