Gabriele Villa
nostro inviato
a Chamonix (Francia)
Dunque la fiamma olimpica più strattonata e boicottata della storia è arrivata a destinazione. Ridotta a un fil di fumo si adagia nel braciere protetto dai corazzieri per linizio di una nuova storia. Speriamo soltanto e soprattutto, sportiva. Quella che invece andiamo a raccontarvi è tutta unaltra storia. Una storia vera, intendiamoci, anche se somiglia più a una fiaba. Di quelle fiabe che nascono in una notte buia e gelida dinverno, tra montagne popolate di elfi e di creature un po inquietanti, anche se dolcissime. Da cui un tempo, anche da queste parti, in Alta Savoia, si preferiva stare comunque alla larga.
È passata di qui la fiamma olimpica. E io lho vista. Non cè bisogno che mi dia un pizzicotto per rendermi conto che non ero dentro una fiaba, che non me lo sono sognato. Per esserne certo mi basta guardare, mentre scrivo queste righe, la bandierina di carta, pennellata darancione, rosso, giallo e bianco che un volontario di Torino 2006 distribuiva laltra sera a Chamonix. Cè scritto: «Ho visto passare la Fiamma Olimpica», su quella bandierina. Quindi vuol dire che io cero davvero. È come se avessi un timbro sul passaporto, altro che fiabe. Solo che la fiaba era tutta attorno a me. In quella notte buia e gelida dinverno la fiamma che ho visto era in forma smagliante. Come forse non lo era mai stata in tutto questo suo faticosissimo viaggio. Una fiamma fiammeggiante, insomma, come dovrebbe essere una vera fiamma olimpica. E ad accoglierla non cerano, per una volta, decine di ultrà, no-Tav, no-global. O meglio cerano. Cerano i duri e puri della lotta allinquinamento della Vallée, cerano gli irriducibili antagonisti dei camion dentro il traforo del Monte Bianco, cerano i verdi francesi che più verdi non si può. Abbiamo imparato a conoscerli e a riconoscerli, in tutti questi anni, nelle precedenti puntate del gran polpettone della contestazione senza frontiere. Ma laltra sera non urlavano, non insultavano, non sputavano sulla Fiamma Olimpica. Semplicemente e candidamente lapplaudivano. Mescolati tra la folla dei turisti e soprattutto dei montagnini locali. Gente di poche parole, quella della Savoia. Ma pronta a tendere la mano. Perché in montagna, in ogni montagna, ci si gioca tutto, ci si gioca la stessa sopravvivenza, sulla solidarietà. E la solidarietà, laltra sera a Chamonix, lungo la rue Paccard e nella magia di luci e suoni della Place Triangle du lAmitié (nome sufficientemente emblematico), incuneata tra la Chiesa di St Michel, lufficio del turismo e lHotel della Ville, erano il rispetto per lo sport, per la sana competizione. Ma soprattutto il rispetto degli altri.
Prendetevi il fastidio di controllare sul sito internet delle Olimpiadi il percorso della Fiamma Olimpica. Scoprirete che laltra sera, lunedì 6 di febbraio, la fiaccola non avrebbe dovuto passare per Chamonix. Si sarebbe dovuta fermare ad Albertville e poi ripartire da Courmayeur, il giorno dopo, alla volta di altre probabili imboscate. E invece che cosa è accaduto? È accaduto che quella fiamma, tremolante e affaticata, aveva evidentemente bisogno di ossigeno. Un bisogno disperato. Lossigeno della semplicità e della schiettezza. Che si ritrova per esempio con una sana sosta in pasticceria. Sì, perché è qui, alla pasticceria «Aux Petits Gourmands» di Chamonix, che la fiamma si è ritemprata. Accolta e festeggiata da bicchieri di vin chaud e piattini di tartiflette, distribuiti a tutti da tutti. Irriducibili no-camion in prima fila. Ed è sempre qui, «Aux Petits Gourmands», che, con la stessa semplicità, i tre tedofori chamoniardi, uno dei quali ecologista che più antagonista non si può, si sono cambiati sotto gli occhi di tutti, indossando la tuta bianca di Torino 2006. Per condurre la Fiamma Olimpica, a turno, fino al Triangolo dellamicizia. Applauditi, festeggiati, incoraggiati.
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