Di governare non se ne parla. E dunque. La sinistra è diventata un caso letterario, uno scoop giornalistico, un calembour antropologico, una tribù affetta da ecolalia che parla male di se stessa o riflette a voce troppo alta su libri, riviste, tivù, rotocalchi, sedute d’intelligenza collettiva. Vi proponiamo un campionario di cotanto coté.
Sinistra "mocciosa". La sinistra «non si dice ma si fa». In Rio (Rizzoli) Leonardo Colombati ci regala il ritratto di Silvia, «con indosso la tipica armatura delle ragazze-bene di Roma Nord decise a odiare il proprio padre», con monolocale a San Lorenzo «che i genitori si erano decisi ad affittarle, perché si sentisse meglio sintonizzata con le proprie aspirazioni alternative». Colombati scrive del 1995. Passano dieci anni e non cambia nulla.
Anzi Federico Moccia, lodato perfino da Lidia Ravera, e da Roberto Cotroneo sull’Unità - le ragazzine sbavano per il destrorso Step «forse perché hanno dei padri che non sono mai stati così, hanno dei compagni di scuola spaventati e indecisi» - in Scusa se ti chiamo amore (Rizzoli) sfodera Niki, che raduna su di sé tutti i cliché più insopportabili di quelli che a Roma Nord giocano al progressismo comodo: scuola al «Mamiani», centri sociali veltroniani, un’insopportabile perfettina ghe pensi tutto mi e pure un po’ etno-chic che quando gioca a pallavolo sembra Mimì Ayuara. Il modello a cui aspira Giovanna Melandri (vedi super-sotto).
Sinistra sanremese. È la sinistra-chanson. È Milva che confida direttamente dall’Ariston ad Antonello Caporale: «Mi sento rossa dentro». È il Compagno Pippebaude che è sempre stato di centrosinistra ma appena vede Del Noce e la Rai berlusconizzata diventa rosso fuori, un Vito Catozzo dei diseredati, un descamisado dell’audience. E il manifesto, che deve calmierare gli strali di Marco Revelli contro Rifondazione comunista, lo adotta con piacere: «Abbiamo dato la fiducia a Prodi, vogliamo negarla a Baudo?». Messo così, è inattaccabile.
Sinistra caviar. Così Laurent Joffrin del Nouvel Observateur, settimanale progressista, definisce i suoi dirimpettai ideologici nell’Histoire de la gauche caviar (Robert Laffont, 2006). È la sinistra che lavora nei media, nell’editoria, nella finanza, nella pubblica amministrazione o in politica: «Amico del popolo, in realtà l’uomo di sinistra si guarda bene dal condividerne gli stenti. Ci tiene, ai suoi privilegi». Prima sfornava buone idee, ora «viene rifiutata come il resto della nuova élite, accusata di cinismo ed egoismo».
La sinistra al caviale c’è ovunque. In Gran Bretagna si chiama «sinistra champagne», in Germania Toskaner Fraktion, negli Usa «i liberal della Quinta strada». Nevrotizzato, il liberal Geoffrey Nunberg ha scritto apposta un libro, Talking Right (PublicAffairs, 2006) spiegando come il senso comune americano abbia trasformato i liberal in alieni di sinistra che difendono le tasse (anziché volerle tagliare), bevono cappuccino (e non american coffee), mangiano sushi (anziché bistecche), guidano Volvo (e non Ford) e fanno i fricchettoni.
Sinistra Brunello. Versione italiana della precedente. «L’Appennino in Italia divide più delle Alpi dall’Europa» scrive Curzio Maltese. Il Kurtz ha ragione: la comunità progressista capalbiese, che d’estate si abbuffa di dibattiti all’«Ultima spiaggia» e di cacciagione a Vallerana e d’inverno si mette a dieta col sushi (sempre di cui sopra), non capirà mai come Romano Prodi al di là dell’Appennino riesca a brindare col Trebbiano. In bicchieri di plastica, poi. E mangiare piadine impiastrate di strutto, poi. E andare in giro la domenica con la cravatta dentro il cardigan, poi.
Sinistra volenterosa. A ottobre Nicola Rossi accusa la sinistra di aver imboccato «una strada inadeguata rispetto alle necessità del Paese». Poi il governo sega il tavolo dei volenterosi e i volenterosi cominciano a rompersi un po’ le palle. Prendete We will (Marsilio), un tenerissimo diario dell’intemeratezza liberalizzatrice per i Da Empoli, i Capezzone e i Polito. E Polito e Rossi sono arrivati a dire che senza Follini non si può fare il Partito democratico. Mio Dio.
Sinistra Goodbye. È la sinistra che deve sempre dire addio a qualcosa per sentirsi fresca e tosta. Toni Negri dice Goodbye Mr Socialism (Feltrinelli, 2006). Miriam Mafai dice che del comunismo non vuole più sentir parlare. Antonio Ghirelli, in Aspettando la rivoluzione (Mondadori) definisce la sinistra «ai minimi termini». Giovanni Ferrara, intellettuale azionista da poco scomparso, raccoglie lo sfogo di Maurizio in Il fratello comunista (Garzanti).
Sul comunismo, appunto: «Io l’ho sentita venire, questa fine, è una specie di morte, ma soltanto ora, non so perché, ho visto le cose in faccia». Peggio di così. Gianni Vattimo in Ecce comu (Fazi) illustra come il Partito Democratico «si imporrà come una vera e propria rinascita della vecchia Democrazia Cristiana, con l’aggravante che la nuova balena bianca includerà molti ex comunisti». Morale: «Sinistra molto probabilmente cancellata per svariati anni a venire».
Sinistra gagliarda. Animata da Rina Gagliardi, fedele alla massima che fidarsi è bene ma non fidarsi è rivoluzionario. Complottista: Confindustria, la City, l’Economist e la setta dei poeti estinti hanno stranamente sostenuto alle ultime elezioni il centrosinistra per silurarlo e fare il governo dei Poteri Forti senza Rifondazione Baluardo del Blocco Sociale. A giugno sentenzia che l’Unione «non è una maggioranza a geometria variabile». Poi vabbé, si sa, «un De Gregorio che va, un Follini che viene», so’ quisquilie... La sinistra gagliarda, che «luxemburghiana ero e luxemburghiana rimango» ha l’ossessione del neocentrismo e delle critiche di Marco Revelli (vedi sotto), che taccia di «antipolitica». Massima da immortalare: il governo non è un pranzo di gala. So’ proprio gajardi.
Sinistra arrevellata. È la sinistra che critica la sinistra gagliarda. Intellettualmente parlando come Marco Revelli, che invia dall’ultimo numero di Carta una lettera aperta a Bertinotti sulla nonviolenza di sole sette pagine e argomenta sullo scollamento tra politica di governo e movimenti. Ma ci vorrebbe un articolo apposta. Quelli meno educati alla manifestazione pro-Mastrogiacomo del 17 marzo scandivano: «Votate la guerra, parlate di pace. Giordano e Diliberto siete peggio dell’antrace!». Tenendo a mente la massima rubata al Roberto Carvelli de La rivoluzione spiegata alle commesse (Coniglio, 2007): «Comunque sappi che il mondo dei contestatori è pieno di coglioni».
Sinistra equa, solidale e trendy. In versione Sircana è no prejudice. Ao’, perché la comunità giornalistica non ha preso posizione contro l’incredibile violazione della privacy capodannesca della ministra più cool dei Parioli che manco s’è potuta scatenare in un twist in casa di F.B.
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