Di recente, nelle ovattate stanze della filosofia ha fatto rumore il caso di Anthony Flew, il noto pensatore che ha rinnegato le proprie convinzioni atee. In effetti, lateismo sembrava essere ormai diventato una specie di punto di approdo obbligato della maggioranza più qualificata dei filosofi. Sarà perché in Italia spesso i fenomeni culturali si verificano con un po di ritardo, fatto sta che da noi pare che i protagonisti della scena filosofica siano tuttoggi dei non credenti; ma, verrebbe da dire, ancora per poco, se è vero, come è vero, quanto sostengono Giuseppe Micheli e Carlo Scilironi nella prefazione del libro Filosofi italiani contemporanei (Cleup, pagg. 318, euro 15) quando affermano che sono il tema del nichilismo, quello del sacro e del mistero e lapertura allistanza religiosa gli elementi caratterizzanti le riflessioni di alcuni dei più rinomati pensatori italiani doggi.
Dunque, dopo la proclamazione della morte di Dio sbandierata ai quattro venti, dopo tutte le possibili e immaginabili critiche della religione, dopo lapparentemente inarrestabile trionfo dellateismo scientifico, la filosofia italiana contemporanea sembra non trovare di meglio che confrontarsi ancora una volta col sacro, col mistero e con la religione. Il libro - va detto - prende in esame soltanto sei personalità filosofiche, ed esattamente quelle di Luigi Pareyson, Emanuele Severino, Italo Mancini, Gianni Vattimo, Vincenzo Vitiello e Massimo Cacciari; ma si tratta di uomini che appartengono al fior fiore della speculazione cresciuta in questi anni in Italia; e i quattro tra essi ancora felicemente viventi vengono costantemente collocati ai primissimi posti di unideale hit parade filosofica.
Appare poi tuttaltro che casuale il fatto che il libro si concluda con unappendice dedicata a uno dei più rilevanti teologi italiani di oggi, Bruno Forte, da poco nominato arcivescovo di Chieti, che in numerose occasioni è stato interlocutore diretto e privilegiato dei filosofi sopra citati. Impossibile, a questo punto, non tornare con la mente e con gli occhi al testo dellenciclica Fides et ratio, scritta da papa Giovanni Paolo II nel 1998: in essa Karol Wojtyla ribadiva e riproponeva alcune certezze care alla tradizione cattolica, prima fra tutte quella relativa allesistenza di unalleanza strutturale tra fede e ragione, che va ben al di là di possibili incomprensioni e difficoltà di rapporti. Scriveva il Pontefice: «La Chiesa, infatti, permane nella più profonda convinzione che fede e ragione si recano un aiuto scambievole, esercitando luna per laltra una funzione sia di vaglio critico e purificatore, sia di stimolo a progredire nella ricerca e nellapprofondimento».
I brevi e succosi ritratti dei filosofi presentati nel libro curato da Micheli e Scilironi sembrano confermare questa tesi.
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