I «salvatori» d’Italia specializzati in fallimenti

RomaFatece largo che mo' passamo noi… I giovanotti de sto’ governicchio bello, pronti ad azzannare l'osso anche se ogni volta, che sembra quella buona, l'osso scappa e si riparte daccapo. L’armata Brancaleone pronta a salvare la patria - o Roma (zona palazzo Chigi) o morte -, è una collezione invidiabile di disastri politici e catastrofi partitiche. Messi insieme, i Fini, D’Alema, Franceschini e altri eroi della nascitura terza repubblica, potrebbero fare un credibile circolo di lettura più che un esecutivo capace di sopravvivere oltre un semestre. Tutti scrittori in erba o già consumati, Veltroni e Franceschini nel genere romanzesco, D’Alema e Fini nel saggio sulla bella Italia che sarà (se avremo la cortesia di votarli), Casini nell’omelia repubblicana da tramandarsi per via orale. Quanto a fatti, siamo messi male. Eppure è questa la gioiosa macchina da guerra che, tra un ingolfamento del motore e un’avaria ai freni, sta muovendo contro Berlusconi e Bossi. Li muove un grande sogno, la riforma che tutti gli italiani evocati nei comizi - i precari ormai bandiera di tutti, le famiglie che va sempre bene adularle, gli onesti che pagano le tasse, omaggiati salvo poi tartassarli ulteriormente - attendono da anni per vivere meglio: la nuova legge elettorale. E chissene, nun ce lo metti? direbbero a Trastevere. La «salvezza nazionale», la «responsabilità nazionale», dicono, è quel che deve prevalere sulla politica fallimentare. E di fallimenti se ne intendono. Veltroni, che ha quasi una poetica del perdente (è l’american dream al contrario), ha fondato un partito che nel 2008 aveva il 33% e ora è dato al 23%, un terzo dei voti persi per strada, discesa libera tipo Olimpiadi invernali. Se si ferma qualcuno per la strada e gli si chiede cosa ricordi delle cose fatte da Veltroni, uno su due ricorderà i vhs allegati all’Unità quando la dirigeva lui, le sue critiche cinematografiche, e i sogni nel cassetto. Forse, i più preparati, l’album di figurine Panini, uno dei capisaldi con cui vuole cambiare l’Italia l’ex leader del Pd.
Partito che, grazie proprio all’abilità nella leadership, è riuscito a cambiare tre segretari in meno di due anni, e la cui più importante innovazione generazionale è aver creato la corrente dei «rottamatori», cioè quelli che vogliono mandare a casa loro. D’Alema, che ha invece l’aura da filosofo non compreso, ha fatto veramente il premier, come anche Prodi, mai però per più di due anni consecutivi, un motivo ci sarà pure. Bersani, che pure ha avuto il merito delle liberalizzazioni, pare destinato a figurare come l’affossatore finale del Pd, anche se cerca di ringionvanirlo togliendosi la giacca. Sempre evocabile e sempre evocato è Romano Prodi, illustre sconfitto che però almeno può vantare di aver vinto due elezioni, perciò il centrosinistra lo usa tipo amuleto da tirare fuori all’occorrenza. Poi c’è Casini, che sta ai vecchi Dc come il suo 6% sta al loro 35% e passa.

Rutelli? L’Api, per la stragrande maggioranza degli italiani, resta un distributore di benzina, mentre memorabili rimangono sicuramente i suoi salti - da radicale a ecologista a ulivista a neo-centrista - e la presentazione in inglese maccheronico sul portale del turismo italiano (un altro fallimento). Lottano per la «salvezza nazionale». La loro, e sarebbe già un risultato.

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