Immigrati e partito, Fini strappa: «Io non la penso come Silvio»

APERTURA Sul legittimo impedimento però sta con il premier: «È giusto tutelarlo»

Berlusconi e Fini fanno di tutto per non litigare, solo che intorno a loro c’è un rumore di colpi bassi e stoccate.
Quando gli applausi dell’opposizione sono arrivati giù, come uno scroscio d’acqua, qualcuno a Montecitorio ha cominciato a pensare male. Giulia Bongiorno e Fabio Granata lì a stringere mani del Pd, di qualche casiniano, di quasi tutti i dipietristi, mentre gli altri, i colleghi della maggioranza, li guardavano con un punto interrogativo sul volto: sorpresa, stupore, sconcerto. Il problema non è la legge. La scelta di interdire la propaganda elettorale a mafiosi e affini trova tutti d’accordo. I voti che arrivano da Cosa Nostra non sono mai gratis. Le insidie sono nascoste in quella norma che prevede di punire anche il candidato. Il motivo è semplice. Se un sorvegliato speciale si sveglia la mattina e dice di votare Bersani o Berlusconi sono guai. Rischiano di non potersi difendere. È la loro parola contro quella del mafioso. Isabella Bertolini, deputata del Pdl, si chiede: «Come si fa poi a lasciare tutto questo potere a un sorvegliato speciale?». La norma alla Camera è passata, ma morirà al Senato. Nel Pdl molti pensano che sia una trappola contro Berlusconi. Ci sarà sempre - dicono - uno Spatuzza pronto a giurare che i boss della mafia fanno campagna elettorale per il Cavaliere.
Questo è il clima che si respira a Montecitorio. Bongiorno e Granata sono accusati dai colleghi della maggioranza di giocare per l’opposizione. Questa norma - sostengono i parlamentari del Pdl - è un dispetto, una provocazione, anche perché scritta in questo modo non passerà mai al Senato. Neppure l’opposizione può lasciare il destino di un politico in balìa delle dicerie degli untori. E ancora una volta si torna a parlare, apertamente, di fuoco amico nel Pdl. Bongiorno e Granata non sono i fedelissimi di Fini?
È come un rubinetto che perde, una goccia giornaliera che segna un distacco, una distanza, un confine. Qui c’è Fini, lì Berlusconi. Niente drammi, piccoli strappi, come una maglia sfilacciata che comunque non si lacera. Il divorzio? Chiacchiere che mettono in giro le malelingue. Come ricorda Fini agli europarlamentari: «Se volevo fare una corrente mi tenevo An. Voglio fare il Pdl che ancora non c’è. Non ho problemi sulla leadership di Berlusconi a cui voglio bene e non voglio una resa di conti neanche in futuro. Sono pienamente cosciente di essere minoritario, non piango sui numeri, ma chiedo un luogo dove si faccia sintesi politica».
Si va avanti così nel Pdl, sedotti da questo strabismo di Venere. Quello che resta sono le parole incrociate. Uno dice bianco e l’altro dice nero. È un sottile stillicidio. Berlusconi fa campagna elettorale, parla ai «promotori della libertà»: «La sinistra vuole spalancare le porte ai cittadini stranieri». Fini del voto se ne frega. Sta a Bruxelles e davanti al Parlamento europeo marca le differenze: «La mia opinione non coincide al cento per cento con quella del presidente del Consiglio e questo è notorio». Gli uomini dell’uno e dell’altro non ce la fanno a sentirsi inquilini della stessa casa. Quello che dà fastidio ai berlusconiani è l’atteggiamento da «professorini» dei finiani. Il premier si spende in prima persona, tutti i giorni, per vincere le regionali. È lui che si sta muovendo per le elezioni. Fini e i suoi uomini vanno avanti, invece, con questo atteggiamento di distacco, quasi aristocratico, di chi non si sporca e guarda la politica dal colle. Tutto così, un ping-pong di parole. E l’orizzonte è pieno di sospetti. I berlusconiani si lamentano che a livello locale i finiani stanno cannibalizzando ogni cosa. Si parla dei club post aennini e di quelli post forzisti. Farefuturo dice: «Non siamo una corrente, ma sale in una minestra sciapa». E la Brambilla spedisce in tutte le province i «promotori della libertà». I finiani gridano: è un partito parallelo.
La questione, insomma, non è solo politica, ma comincia a essere di pelle, fastidio, antipatia. Come si viene fuori da tutto questo? Sostiene Fini: «Non certo con i promotori della libertà o con la Brambilla». Serve una nuova fase. Servono le riforme. Certo, anche la giustizia.

Anche un provvedimento come il legittimo impedimento («occorre un provvedimento a tutela del premier»), meno traumatico rispetto al processo breve. Le buone intenzioni per non litigare ci sono. Ma sul domani non si fanno scommesse. Neppure Fini le fa: «Il mio futuro? Dico ciò che penso, poi si vedrà».

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