Roma - Senatore Rutelli, a Natale si è riaffacciato l’incubo del terrorismo islamico. Lei, che ha guidato finora il Comitato parlamentare sui servizi segreti, come valuta il pericolo? E che rischi corre il nostro Paese?
«Dobbiamo prevenire giorno per giorno, non svegliarci solo dopo un attentato. La minaccia jihadista non è affatto in calo. E non durerà a lungo, come dimostra l’attacco alla caserma Perrucchetti di Milano, la condizione dell’Italia come Paese di transito, arruolamento e supporto logistico per terroristi che agiscono altrove. Il messaggio di Al Qaida porterà una disordinata, e sempre più pericolosa, attività di singoli e piccoli gruppi auto-addestrati. Occorre un’organizzazione di sicurezza attenta e costante».
Ha fatto scalpore e un certo scandalo, a sinistra, l’intervento del politologo Sartori sulla «non integrabilità» degli islamici nella società occidentale. Condivide una tesi così pessimista?
«Sartori ha ragione, perché la cultura prevalente nell’islam non è laica, ovvero impone il comandamento divino sulle scelte dei fedeli anche nello spazio pubblico. E certe reazioni a sinistra fanno riflettere su una sostanziale incomprensione di quello che accade nel mondo. Vede, in Europa abbiamo inseguito per molti anni un’idea sbagliata: che si debba andare verso una società multiculturale. Da tempo dico che il multiculturalismo è una strada senza uscita, come dimostra la crisi drammatica che investe l’Olanda, e la profonda autocritica aperta nel Regno Unito e in Germania. In Italia non abbiamo ancora l’odio che cova ed esplode nelle periferie parigine: non dobbiamo arrivarci assolutamente».
Perché no al multiculturalismo?
«Perché è un’astrattezza. Dobbiamo promuovere i nostri valori e le nostre regole, e dialogare con le culture di chi viene a lavorare e vivere in Italia da altri Paesi. Ovvero: pluralismo culturale e integrazione. Non velleitario egualitarismo. Né concessione della cittadinanza italiana come strumento di integrazione. Al contrario: la cittadinanza è il punto di arrivo dell’integrazione».
Dunque non è d’accordo con la ricetta di Gianfranco Fini per la cittadinanza rapida?
«Apprezzo che Fini si sia lasciato alle spalle posizioni che erano molto vicine a quelle della Lega, e che rigetti del tutto quel tipo di xenofobia. Ma non condivido certe scorciatoie che rischiano di essere superficiali, come alludere all’“ora di islam” a scuola, oppure l’idea salvifica della concessione della cittadinanza agli stranieri. Penso che l’esperienza debba spingerci verso un percorso - tipo una “patente a punti” - al termine del quale c’è la cittadinanza italiana. Niente di burocratico, o assoggettabile a corruzione. Ma, certo, occorre anche una “dichiarazione di laicità”. Che valga per tutti, e serva per separare esplicitamente il comando religioso dai doveri verso la Repubblica».
Ma allora che si fa, si chiede ai musulmani di rinunciare alla propria fede per diventare italiani?
«Non scherziamo. Nessuno deve chiedere abiure. Dobbiamo rispettare la fede degli altri, e penso siano sbagliate le provocazioni di chi denigra Maometto o i simboli dei musulmani. Il punto è un altro, e certa sinistra rifiuta di capirlo: la laicità moderna inizia anche con il pensiero di un giurista e filosofo del ’600, Ugo Grozio. Un cristiano che coniò la celebre frase “etsi Deus non daretur”; ovvero: certi diritti rispondono a principi validi per tutti, indipendentemente dall’esistenza di Dio. È quello che la cultura dominante nell’islam rifiuta: le donne hanno diritti inferiori; i non credenti hanno diritti inferiori. Invece dobbiamo incoraggiare l’islam laico e moderato. E possiamo farlo solo dicendo la verità: in Italia c’è spazio solo per il nostro diritto, non certo per un’interpretazione fondamentalista dei princìpi del Corano, per i quali c’è chi pensa di essere titolato ad uccidere un apostata, o una figlia che sceglie la sua libertà».
Nuove moschee: è giusto costruirle o no?
«Lei pensa che il credo fondamentalista sia più facile da diffondere in un garage o una moschea clandestina, oppure in un luogo dignitoso, controllato e trasparente, dove gli imam estremisti non abbiano accesso? La mia risposta l’ha capita bene. Ed è una risposta che nasce anche dall’esperienza di presidente del Comitato di controllo dei servizi. Ma bisogna esigere reciprocità: dobbiamo e possiamo ottenere molto più rispetto e molta più sicurezza per i cristiani nei Paesi musulmani. Troppe volte debbono nascondersi o fuggire da persecuzioni».
La questione di come organizzare la convivenza con gli immigrati è centrale in Italia e divide la politica. Qual è la ricetta giusta secondo lei?
«Guardi, vorrei costruire una politica in cui su questi temi, troppo delicati, centro, destra e sinistra si uniscano. Per cui nessuno insegua il giustificazionismo verso gli estremisti, e nessuno speculi sulle paure creando una xenofobia che è intollerabile e aggrava il problema. Vorrei che tutti fossero consapevoli che l’Italia di domani nasce da rigore, integrazione, responsabilità, piuttosto che dall’inseguimento di un po’ di voti».
Intanto il neo-premio Nobel Obama è alle prese con nuovi possibili fronti della guerra al terrore.
«Obama ha vinto il Nobel per la Pace, come dire, sulla fiducia. Ha compiuto gesti coraggiosi che hanno certamente ridotto il consenso tra le popolazioni musulmane a favore di fondamentalisti e terroristi. Non dimentichiamo che negli anni scorsi quel consenso era più alto. Tuttavia, l’America è ben consapevole che il terrorismo è tutt’altro che in ritirata. Ha meno capacità strategiche, ma più capacità di colpire in modo diffuso. Era impressionante, alcuni giorni fa, l’inchiesta del New York Times sugli imam reclutatori su Internet. Per questo, credo che avremo nei prossimi tempi un’America al contrattacco.
E l’Italia che dovrebbe fare?
«L’Occidente e tutte le democrazie debbono collaborare per la sicurezza e unirsi senza ambiguità contro il fondamentalismo».
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