Incinta, strangola il figlio di 9 mesi e poi si butta dal ponte: arrestata

La tragedia nel Vicentino: la donna, 34 anni, accusata di omicidio volontario

Marino Smiderle

da Torrebelvicino (Vicenza)

La follia esplode quando il marito è a cena con i colleghi. Francesca Bernardi, 34 anni, è a casa col figlioletto Matteo, di 9 mesi, fortissimamente voluto dalla coppia, e finalmente avuto dopo mesi di cure ormonali per la fertilità. Cure talmente efficaci che, tre mesi dopo il parto, si è trovata di nuovo incinta. È sola, forse arrabbiata col marito, Paolo Balasso, 39 anni, che dopo la giornata di lavoro passata al suo autosalone di Zanè le ha annunciato che non tornerà per cena. Presto la rabbia diventa follia, in quella casetta rosa ristrutturata di recente a Pievebelvicino, frazione di Torrebelvicino, un paesino ai piedi del Pasubio. In un raptus la mamma, che non ha ancora metabolizzato il primo parto e deve già pensare al secondo, stringe le mani attorno al collo di Matteo. Stringe forte, fino a strangolarlo. Poi prende la Fiat Punto e comincia a girare per le stradine dei dintorni, prima di tentare il suicidio ruzzolando giù da Ponte Capre, un paio di chilometri da casa.
Manca poco a mezzanotte quando il marito torna dalla cena coi colleghi. Arriva a casa, entra e scopre che la moglie non c’è. La chiama al cellulare, piuttosto risentito, e lei gli dice: «Non ti preoccupare, torno subito. E lascia dormire il bimbo». Matteo è disteso nella culla, ancora vestito. Il papà non sa, e non si accorge, che è già morto. Per evitare di svegliarlo gli rimbocca le coperte e aspetta che la moglie torni. Passano i minuti, le ore, arrivano le 2, forse Balasso si appisola. Quando si sveglia e vede che Francesca non è tornata va a dare un occhio a Matteo. Si avvicina, lo sente freddo e, di colpo, capisce quel che è successo e precipita in un incubo da cui non uscirà più. Nello stesso momento, minuto più, minuto meno, a Ponte Capre la moglie si mette a gridare. Si è gettata nel greto del torrente ma si è «soltanto» ferita a una gamba, forse una piccola frattura. Uno che abita da quelle parti sente le grida e chiama un’ambulanza. Al Pronto soccorso di Schio arriva un’altra richiesta di aiuto, è quella del marito, che spera ancora in un miracolo. Chiama anche i carabinieri, perché della moglie non c’è traccia. Ci vuol poco per far combaciare le richieste di aiuto, e ci vuol poco, per gli inquirenti, a mettere insieme i tasselli del mosaico di dolore.
Prima che arrivi l’ambulanza in via Schio 38, Paolo Balasso esce col bimbo in braccio e suona a un vicino: «Giuseppe, Giuseppe, il mio Matteo è morto», grida salendo le scale e appoggiando il corpicino nella braccia dell’incredulo conoscente. I carabinieri di Schio intuiscono quel che è avvenuto e vanno a fare qualche domanda alla donna ricoverata in ospedale, prima a Schio, e poi a Thiene. La trovano in stato confusionale, il suo racconto è pieno di «non ricordo, non so». Più tardi l’autopsia dirà: Matteo è stato strangolato. Quella casetta a schiera così amorevolmente sistemata, trasformata in un nido di felicità per una famiglia numerosa, diventa un inferno. I vicini non sanno dare spiegazioni. La coppia non aveva problemi economici: lui gestiva un autosalone a Zanè, col padre, mentre lei lavorava come impiegata in un’agenzia immobiliare di Schio. Una famiglia normalissima peraltro elettrizzata dall’arrivo di Matteo, battezzato nella parrocchia di Pievebelvicino pochi mesi fa.
Il pm Vartan Giacomelli ha disposto il fermo della donna con l’accusa di omicidio volontario aggravato. L’autopsia ha chiarito le cause della morte ma resta da stabilire l’ora esatta del decesso, attraverso un esame che sarà effettuato a Verona nei giorni prossimi.

Dettagli, per questa tragedia dai contorni piuttosto chiari. Comincerà ora il travaglio giudiziario, che dovrà tenere conto di un particolare piuttosto importante: Matteo non c’è più ma il suo fratellino, o sorellina, è ancora nel pancione della mamma e fra tre mesi nascerà.

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