Intercettazioni, Mastella vuole multare la stampa

Gianluigi Nuzzi

Tentato giro di vite sulle intercettazioni telefoniche o, meglio, sulla loro pubblicazione che a ondate, dagli sms amorosi di Anna Falchi a Stefano Ricucci sino ai porno-squilli-reali di Vittorio Emanuele, riempiono le colonne dei giornali con la vociona di big Luciano Moggi in tv. Clemente Mastella annuncia che ad uno dei prossimi consigli dei Ministri presenterà «un disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche». Bene. Di che si tratta? Ecco, «adeguate sanzioni pecuniarie - si legge in un comunicato - a carico di testate giornalistiche che pubblichino in modo illegittimo documenti coperti dal segreto istruttorio e dà attuazione alla legge sulla privacy, in sintonia con le iniziative assunte dall’ ufficio del Garante». La misura incontra critiche. E aldilà del rullo dei tamburi della maggioranza, provocherà effetti assai ridotti. Le ordinanze di custodia cautelari, nelle quali sono riportate spesso stralci di intercettazioni, una volta eseguite e in mano agli avvocati di fatto sono semi-pubbliche. E finiscono ai cronisti di giudiziaria. Così con il deposito degli atti al gip o al Riesame, le intercettazioni diventano ugualmente diffondibili. Per non sottolineare che si punisce chi i documenti li offre ai lettori e non chi li passa sottobanco ai giornalisti.
Se verranno poi introdotte multe salate per chi pubblica le intercettazioni, è facile prevedere che non cambierà nulla. Verranno messe in pagina ugualmente, visto che già oggi esiste questo reato, la «pubblicazione arbitraria di atti coperti da segreto», ma con un paio di centinaia di euro di ammenda lo si estingue. Portarlo a 20mila euro o più metterà ancor più in competizione i media, non dimenticando che ogni ammenda deve essere in armonia con l’intero codice. Basta vedere Repubblica di ieri: ha pubblicato in sunto un verbale che non solo era stato secretato per evitarne la diffusione ma nemmeno era stato trascritto. Ne esisteva copia solo su supporto magnetico. Vedremo se il Pm Armando Spataro o la procura di Brescia apriranno un’indagine come celermente la Procura di Milano si adoperò in altri e pur recenti casi.
In questo clima d’intercettata incertezza arriva la denuncia clamorosa del ministro dell’Interno Giuliano Amato sulla procura di Potenza dove il pm John Henry Woodcock conduce l’inchiesta su Vittorio Emanuele. «Sono esterrefatto da ciò che accade in Italia e mi dicono che accade da molto tempo - sottolinea Amato - si tratta di una prassi talmente consolidata che alcuni giornalisti mi dicono che esistono contratti di fatto tra cronisti e chi fornisce le notizie e collegamenti tra procure e giornali per cui viene data al giornalista una password per entrare nel momento in cui un atto viene dato ai difensori». Il riferimento è al Tribunale di Potenza. Amato ha infatti girato a Mastella la comunicazione ricevuta dal prefetto di Potenza circa «la diffusione tra giornalisti della password di accesso ai documenti della procura». In pratica, secondo questa ricostruzione ai cronisti verrebbe data la password per accedere direttamente al «contenitore» informatico dove sono presenti gli atti. In procura a Potenza sono altrettanto stupiti di questa denuncia del prefetto. Anche perché è noto che Woodcock non conserva sul proprio pc i file degli interrogatori. «È assolutamente escluso - replica il procuratore capo Giuseppe Galante al Giornale - che l’ipotesi avanzata possa avere credibilità per il mio ufficio. Mi sembrano cose fuori dal mondo».

Soddisfatto che gli ispettori del ministero della Giustizia possano fare chiarezza è invece proprio Woodcock: «Costituiscono una garanzia - riflette - per chi ha sempre lavorato regolarmente. Come me».
gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it

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