Dopo quindici mesi e Cinque stelle, anche le Laure Boldrini «donne di guerra e di frontiera» (autodefinizione) possono accusare i primi sbocchi di bile. Chi la credeva un donnino idealista e superiore alle dicerie da ballatoio, interessata solo a cose alte, in qualche modo resterà deluso: la sora Laura proprio non regge questa nuova immagine che le hanno incollato addosso, soprattutto gli scamiciati del gruppo grillino, come un'insopportabile zia molto snob ed eternamente imbronciata. Proprio lei, che quando Vendola la reclutò per la politica, si trovava secondo il nitido ricordo personale «in Grecia, dentro un ambulatorio di Medici nel mondo, mentre assistevo a una scena raccapricciante: curavano un giovane migrante africano pestato a sangue e tumefatto, con i suoi compagni a dirgli sei un nero, è normale essere ammazzati di botte, a tutti noi è successo...».
Non è possibile, proprio non è accettabile che quindici mesi di carica istituzionale alla Camera l'abbiano così profondamente cambiata nell'immaginario collettivo e negli indici di gradimento: stava studiando da Madre Teresa, si ritrova al centro dei perfidi sarcasmi parlamentari e dei trucidi insulti web. È veramente troppo anche per una santa donna. Soprattutto per una santa donna che ha sempre coltivato un'ottimissima opinione di sé. Ma è in momenti come questi che la santa donna lascia il posto alla donna di guerra e di frontiera, decisa a ribaltare la situazione. La riscossa della simpatia è già partita: come racconta l'ultimo numero dell'Espresso, la sora Laura ha adottato un rimedio geniale. Ha prenotato la riservatezza del Castello di Titignano, zona Orvieto, e si è rinchiusa per un weekend di autocoscienza - direbbe Moretti - con il meglio del meglio, secondo lei. Questo il dream-team strizzacervelli: Elena Montecchi, politica reggiana di lunga militanza dalemiana, lo psicanalista Massimo Recalcati, umanologo a tutto tondo che imperversa nei salotti più quotati dell'Italia vittoriosa, nonchè Gad Lerner, certamente giornalista, fino all'altro giorno poco noto su piazza come esperto in simpatia.
Per chi sia portato a considerarlo un normale ritiro, come ne facevano a Camaldoli i vecchi Dc, è la stessa Boldrini a specificare: «Quello che ho fatto si chiama retreat. Si va in un luogo che agevoli il raccoglimento e si chiamano delle figure esterne a fare da facilitator. Senza tanti complimenti. Se ci sono cose che non vanno, voglio che me lo si dica. È il sistema più utile per riparare gli errori e prepararsi a nuove sfide». Diciamolo: mette i brividi la sola idea del clima, con le disumane stroncature maturate nell'ambito bellico dei tre adoranti estimatori. Al termine dell'impietosa autoanalisi, è proprio lei a rivelare sull'Espresso come sarà la nuova Boldrini, primadonna alla ricerca della perduta amabilità. Soprattutto, poco narcisismo e tanta, tanta, tanta umiltà. «Io non sono una donna mansueta, ho una storia che parla per me. Non sono arrivata qui per militanza di partito, né per parentele. Sono il risultato di una maturazione politica che richiedeva una figura portatrice di valori innovativi». E via con l'impietosa autocritica: «Non mi sento bella, anche se so di avere un aspetto gradevole». «In questo ambiente i pregiudizi sono duri a morire: se un uomo batte il pugno sul tavolo è uno di carattere, se lo fa una donna è un'isterica. Chi ha pensato che potessi essere la muta vestale di un'istituzione dia un'occhiata a quello che sto facendo alla Camera: riforma del Parlamento, campagne di ascolto (!, ndr), semplificazione (!!), trasparenza (!!!), rimozione di segreti (!!!!), presenza sui maggiori social-network (!!!!!)...».
Certo non si arriva a tanto senza un duro sacrificio. Sia chiaro. «Ho fatto una scuola rurale, ho visto le disuguaglianze. Da ragazza frequentavo la parrocchia e ogni sera alle sette recitavo il rosario in latino con mio padre. Ho fatto anche tutto il percorso da scout: la coccinella e la guida». Poi c'è la fase della mamma che deve convivere con la figura di commissaria per i rifugiati: «Quando lasciavo Anastasia per andare in Afghanistan o in Kosovo, lei mi faceva il valigino per donare i suoi vestitini ai bambini del posto». E oggi? Oggi non ne parliamo: «Io facevo molto sport e non posso più andare in palestra, nuotavo e non posso più andare in piscina. Bisognerebbe prima farle evacuare, figuriamoci se posso permetterlo».
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