Jessica spara. Il piattello è il nemico: le avversarie da battere e la terra da fermare. Lanciane un altro: lei lo frantuma. Bang. Ancora un altro: lei lo frantuma. Bang. Settantacinque su settantacinque che alla fine diventano novantanove su cento. L'imperfezione perfetta. Uno meno dell'assoluto vale l'oro e il record mondiale. Dice che in quelle cartucce c'era l'Emilia che s'è vista crollare il mondo addosso col terremoto e s'è ripresa. Spara, Jessica. Spara. L'ultima eroina di quest'Olimpiade ha i genitori sfollati. Crevalcore è stato il paese della provincia di Bologna con più gente sgomberata da casa: 465 persone, tra cui i suoi. Questa vittoria è per loro, dice. Per lei e per loro. Per gli altri. Jessica è la ricostruzione senza aver messo un mattone sopra l'altro. È un simbolo. Perché ora la prenderanno come il totem di una terra che non s'è abbandonata alla disperazione. Lei spara, gli altri pure. Uguali e diversi, perché è lo spirito che comanda, non quello che fai: puoi essere un lattaio che non smette di portare il latte, il panettiere che apre la mattina dopo il terremoto, l'imprenditore che va nel capannone con gli operai e si mette anche lui al nastro trasportatore.
Jessica fa Rossi di cognome. È la banalità che si fa forza. Perché ci vuole una col cognome più diffuso d'Italia per raccontare questa storia. Lei che a vent'anni ha vinto tutto nell'anno più complicato. Mondiali, europei. Che altro? Londra. Voleva questa Olimpiade. Terremoto a noi: chi è più forte io o tu? Quella notte lei era a Cipro. La mattina chiamò a casa: tutto bene? Sì. E si mise a sparare: prima. Campionessa. L'ha sconfitto allora, adesso gli ha soltanto ricordato chi comanda. Lanciate i piattelli, per favore. Ne colpisce 25mila ogni anno. Qui in finale erano cento. Quello mancato è il corollario migliore: i robot non falliscono, le persone sì. Uno solo per sapere di essere umana. Jessica esiste. Ride, alla fine. Scherza. Parla. Risponde al telefono dieci minuti dopo aver esultato: «Mamma, eccomi». È figlia di un'Italia della precisione. Ma non ci dicevamo sempre che siamo confusionari, poco affidabili, un po' cialtroni? Qui a Londra vinciamo solo con la meticolosità: pistola, arco, fioretto, sciabola. Ci stupiamo ogni volta, come degli ebeti. Bisognerebbe chiedere ai compagni di scuola com'era. Se quando in classe giocavano alla cerbottana era una tragedia. Era ieri, in fondo. Vent'anni sono più vicini all'adolescenza che alla maturità. È una di quelle atlete che ti fanno sentire in imbarazzo. Come fa? Come si diventa così bravi? Come si può avere tanta serenità? Come se il pregiudizio ce lo scrivessimo da soli: siamo meglio di come di descriviamo, siamo diversi da come ci dipingiamo. L'autoritratto oggi ha la faccia di Jessica Rossi, così come ha avuto quello delle ragazze del fioretto, della squadra maschile dell'arco, del pistolero fuggito in America per poter essere più italiano di noi. Il nostro terremoto non è soltanto quello che scuote la terra. È l'autolesionismo. Da questo ci curano loro: Jessica e i suoi fratelli e le sue sorelle. Coi loro pallettoni sfondano la nostra coscienza collettiva: perché non riusciamo a essere come loro? Perché ci meravigliamo della nostra bravura? Lei è venuta qui a Londra per vincere e ha vinto. Le Olimpiadi ci sbattono in faccia le storie di chi ci porta nel futuro. Sveglia, ragazzi. A 20 anni, la signorina Rossi fa morire di crepacuore quelli che hanno bocciato la nostra gioventù: sono davvero tutti viziati? Qui abbiamo tutto. C'è lei, emblema per un giorno della nostra Olimpiade. Eccezionale. Normale. Chi l'ha detto che sono l'opposto? Ora che ha finito dice che si andrà a vedere il torneo di beach volley. Spiaggia, musica, bikini e canottiere. Gioventù. Spara per passione, non per disagio. Siamo noi che dobbiamo capire. Lei fa la fossa olimpica, il trap: quindici macchine lancia piattelli, 25 tiri, due colpi per ciascuno. Sei a quindici metri di distanza dall'obiettivo: tu, la tua arma, il fruscio del piattello che parte, il rumore sordo se lo centri, il silenzio se lo manchi. Jessica prese un fucile in mano a sette anni. Che ci fai? Sparo. Lo psicologo che la segue dice di non aver mai visto una persona così concentrata. Sente l'aria, mira, punta, preme il grilletto.
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