Non facciamolo sapere a Frau Merkel, ma nel governo di Herr Monti c'è anche un ministro apertamente comunista. È Fabrizio Barca, l'economista titolare della Coesione territoriale. Il comunismo di Barca è intenso e romantico. Un affare di cuore legato alla gioventù e alla tradizione familiare.
«Sono iscritto al Pci», ripete spesso, ridendo del paradosso, poiché il Pci non esiste più da decenni. Un modo per dire che è fermo a Berlinguer e non si riconosce nel Pd. Contemporaneamente, nel dirsi iscritto a un partito che non c'è, sottolinea che lui - da un certo momento in poi - ha scientemente accantonato la politica per gli studi. Anche se, prima di quel momento, è stato un comunista fatto e finito.
Pressoché coetaneo di Max D'Alema e Walter Veltroni, il cinquantottenne Barca appartiene alla generazione post sessantottina cresciuta nella Fgci, pollaio dell'adolescenza rossa. Negli anni Settanta lo troviamo al Festival mondiale dei giovani comunisti a Berlino Est. Era delegato ufficiale di Botteghe Oscure con Veltroni, Ferdinando Adornato e altri promettenti dirigenti comunisti di quel domani che non ci fu. Ci andò con la benedizione del padre, Luciano, alto dirigente del partito e riconosciuto custode dell'ortodossia tanto che negli anni '50 e '60 fu direttore dell'Unità e Rinascita, gli house organ dei filo Soviet.
Pareva ovvio che Fabrizio ne seguisse le orme nel Pci e in Parlamento, dove Barca senior (oggi novantaduenne) è rimasto sette legislature occupandosi di legislazione bancaria, il suo pallino. Di punto in bianco, invece, e sotto la spinta del babbo, Barca jr si tuffò negli studi economici, prese una sfilza di dottorati e master anglosassoni e smise con la politica. Appartiene quindi anche lui al gruppo di rampolli di alti funzionari comunisti che, consapevoli della fine del loro mondo, indirizzarono i figli verso la City e Wall Street, distogliendoli da Mosca. Vengono in mente, accanto a Barca, Dario Cossutta, il pargolo di Armando, e Lucrezia Reichlin, figlia di Alfredo e Luciana Castellina. Tutti e tre si sono illustrati come economisti e hanno proseguito la tradizione elitaria dei genitori ma con strumenti opposti: abbracciando la cultura economica occidentale, anziché abbeverarsi al marxismo. Un modo intelligente di perpetuare le dinastie.
Il percorso sapienziale di Fabrizio è di prim'ordine. Dopo la laurea in Statistica alla Sapienza, ha ottenuto un Master of Philosophy a Cambridge. Ha poi solcato l'Atlantico, americanizzandosi al punto da parlare la lingua come l'italiano e trovare moglie colà. È stato visiting professor al Mit di Boston e a Stanford. Ha inoltre insegnato a Parigi, Roma e nella - ormai inevitabile - università Bocconi di Milano.
Gli ex comunisti del Pd hanno sempre apprezzato Barca ma con occhio distratto perché era, sì dei loro, ma aveva preso le distanze. Recentemente, Fabrizio ha anzi fatto sapere che vota «a sinistra del Pd». Probabilmente Sel, che soddisfa di più la sua inclinazione vetero comunista e lo avvicina al padre - uscito dal Pci negli anni Novanta per protesta contro la svolta della Bolognina -, marxista con venature cattoliche, vicino alle sofferenze degli «ultimi» e alle cose che Vendola dice magnificamente per infinocchiare il prossimo. Bene, pur sapendo che il ministro Barca non è in sintonia, quelli del Pd - in particolare i fan di Monti - sognano di ingaggiarlo per la prossima stagione politica. Diversi lo vogliono nel futuro governo di centrosinistra, altri lo vedono addirittura premier e premono perché partecipi alle primarie, terzo incomodo tra Bersani e Matteo Renzi. Tra questi, il prodiano Sandro Gorzi, il veltroniano Salvatore Vassallo, l'enfant prodige lombardo Giuseppe Civati. Fabrizio nicchia, ma ci pensa su. Nel frattempo, cerca notorietà facendo il simpaticone in tv, twittando a raffica, moltiplicando le apparizioni Youtube e dando cameratescamente del tu a qualsivoglia giornalista gli capiti tra i piedi.
Barca ha debuttato ventiquattrenne nell'ufficio studi della Banca d'Italia. È rimasto vent'anni in Via Nazionale finché l'ex governatore, Carlo Azeglio Ciampi, di cui era un cocco, lo chiamò al ministero dell'Economia che guidava durante i governi Prodi e D'Alema, poco prima di salire sul Colle. Al ministero, di cui oggi è dirigente generale, ha avuto esperienze e vicissitudini. Barca è l'inventore della Nuova politica territoriale, complesso marchingegno per sostenere l'industria privata nel Mezzogiorno con soldi pubblici, prevalentemente Ue. Fabrizio, che ha ottimi agganci a Bruxelles, si dimostrò un mago nell'ottenerli. La Npt fu però un fallimento totale, come riconosce lui stesso. I sussidi sono finiti nelle tasche di ladri conclamati o fior di imbecilli, senza vantaggio per l'economia del Sud. Lo spreco di risorse è stato enorme.
Con D'Alema premier (1998-2000), Barca cadde in disgrazia. Baffino - pare - gli chiese di largheggiare in elargizioni agli industriali campani vicini al compagno Bassolino allo scopo di aumentarne la popolarità. Fabrizio, che è un tipo onesto, rifiutò il favoritismo considerandolo contrario ai doveri d'ufficio. Così - raccontano - perse il posto di capo dipartimento e retrocesse a consigliere ministeriale, sinecura che consiste nell'essere a disposizione standosene al mare. Quando gli capitano cose come queste - o all'opposto quando è sotto stress per il lavoro - Barca si deprime. Per superare lo sconforto moltiplica quella che è la sua grande caratteristica: camminare continuamente. Nel suo curriculum ufficiale ha scritto di essere appassionato di trekking. Appassionato va sostituito con maniaco. Se è giù di corda, caschi il mondo, corre nei luoghi più impervi della Terra per marciare con i bastoni. È stato, per dire, sulle Ande. La famiglia, molto unita, lo segue. Lui in testa, i tre figli dietro, la moglie, Clarissa Botsford, chiude. Per accompagnarlo, la consorte, un'americana poco comunicativa, molto liberal e di sinistra, chiede l'aspettativa alla romana Terza Università dov'è lettrice. Queste fughe esotiche hanno influenzato i ragazzi tanto che la figlia Valentina è oggi in Sudamerica con una ong. Un altro figlio è in Inghilterra, il che ha permesso al padre-ministro di uscirsene con una battuta giudicata anti patriottica: «Finché l'Italia non sarà migliore, meglio stiano fuori». Se è per questo, ha anche ostentatamente snobbato la parata del 2 Giugno per una spaghettata al mare col babbo.
Tornando al Barca silurato da D'Alema, quando Tremonti nel 2001 arrivò all'Economia, lo trovò relegato in una stanzetta. Fosse per lui, ce l'avrebbe lasciato, avendo scelto come pupillo Vittorio Grilli, oggi ministro, allora dirigente. Fu il viceministro Pdl, Gianfranco Miccichè, a ripescare Barca apprezzandone, con entusiasmo siciliano, la bravura.
Lo rinominò capo dipartimento. Prima di accettare, Fabrizio tergiversò perché Miccichè era di destra. Si consigliò pure con Ciampi, che lo pregò di non fare il fesso. Così si fece piacere Miccichè, fu leale con lui e mise le ali alla carriera.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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