Il figlio del "mostro" sbattuto in tivù a 11 anni

Chi ha mandato in onda quell'intervista ha violato le regole. E poi, ci interessa davvero il pensiero di un bambino sul papà?

Luigi Preiti, l'uomo che ha sparato ai due carabinieri davanti Palazzo Chigi
Luigi Preiti, l'uomo che ha sparato ai due carabinieri davanti Palazzo Chigi

Sbatti il bambino in prima pagina. A questo sono arrivati i giornalisti che hanno pensato bene di appostarsi fuori dall'abitazione di un ragazzino di 11 anni e di intervistarlo, riprendendolo con le telecamere, per poi trasmettere il bottino dell'impresa su Sky Tg24.
Incuranti, anzi più che consapevoli, del fatto che il bambino era ieri il più noto e il più infelice d'Italia, perché il padre aveva sparato a due Carabinieri durante il giuramento del nuovo governo.
Chiunque avrebbe dovuto pensare che il ragazzino fosse in uno stato di profondo turbamento, stupito, impaurito, probabilmente persino ferito da un certo senso di colpa. E, comunque, è un ragazzino che va rispettato anche oltre l'eventuale liberatoria di una madre non del tutto accorta.
L'art. 7 del codice deontologico dei giornalisti prescrive che «al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione».
Ebbene, non solo il padre di questo minore è stato coinvolto in un fatto di cronaca di rilevanza nazionale, ma, grazie a quei giornalisti, è stato coinvolto pure il figlio e più che identificato in diretta televisiva, per quanto pixellato.
L'art. 7 dice pure che «la tutela della personalità del minore si estende tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti ai fatti che non siano specificamente reati». È corretto, e tutelante della sua personalità, porre domande al figlio di un attentatore, quasi omicida, tali da avere in risposta «ha sbagliato, ma gli vogliamo tutti bene», «mi dispiace per i carabinieri», «tra noi c'era un buon rapporto»? Ha pensato per un solo secondo alle basilari regole della sua professione e allo stato d'animo di quel bimbo il giornalista che, eccitato dallo scoop, ha inseguito quell'intervista? Se lo ha fatto, ha sbagliato molto di più.
È giornalismo cinico, spietato e irresponsabile questo, che infanga il decoro di una categoria professionale indispensabile, perché funzionale all'espressione dell'art. 21 della Costituzione. Ma poi, nella testa di quello o di quei giornalisti, qual era la notizia? È una notizia il pensiero del figlio minorenne dell'attentatore? Non ricordavano i giornalisti, nell'occasione, (e speriamo che il loro Ordine glielo ricordi!) che «il diritto del minore alla riservatezza deve sempre essere considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca …»?
Questa intervista può essere mai giudicata nell'interesse oggettivo del minore, come prescrive la Carta di Treviso?
Per non parlare delle imprese televisive, che hanno trasmesso lo scempio dell'infanzia violata, e che avrebbero dovuto invece rispettare il codice di autoregolamentazione delle aziende televisive, che impone, quando i minori partecipano alle trasmissioni, «il massimo rispetto della loro persona, senza strumentalizzare la loro età e la loro ingenuità, senza affrontare con loro argomenti scabrosi e senza rivolgere domande allusive alla loro intimità o a quella dei loro familiari».
Inoltre c'è l'obbligo per gli enti televisivi di «non intervistare minori in situazioni di grave crisi… che abbiano genitori in carcere o genitori pentiti e in ogni caso a garantirne l'assoluto anonimato».
Mi sembra, dunque, che in questa scabrosissima parentesi dell'informazione responsabile, siano state infangate tutte le regole umane e deontologiche possibili, in una deriva professionale molto molto preoccupante.


Vorrei che tutti i giornalisti, in nome dell'etica, della rigorosa tutela, ma anche dell'affettuosa attenzione che gli adulti devono riservare a qualsiasi bambino del mondo, immaginassero per un solo secondo di regalare una carezza sentita a quel bambino, anche per rimuovere dalla sua testa i pensieri tremendi nei quali si sta dibattendo e che sono stati barbaramente cristallizzati e riprodotti da una telecamera nemica e indecente.

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