Alessio D'Amato e quella condanna della Corte dei Conti che imbarazza il Pd laziale

Ecco come D'Amato avrebbe causato un danno erariale alla Regione, l’ente del quale era al tempo consigliere e oggi assessore e plenipotenziario, nonché candidato governatore: una vicenda che troppi smemorati di sinistra tendono a sminuire

Alessio D'Amato e quella condanna della Corte dei Conti che imbarazza il Pd laziale

C'è uno scandalo che qualche tempo fa si è abbattuto sulla Giunta regionale del Lazio, a guida del dimissionario governatore Nicola Zingaretti, e che la sinistra sta facendo finta di dimenticarsi: quello della condanna inferta dalla Corte dei Conti all'assessore alla Sanità, Alessio D'Amato, ora candidato presidente laziale. Che cosa dice quella sentenza? E che cosa ci racconta quella storia?

Il 2 settembre 2022 Alessio D'Amato è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire 275 mila euro, in solido con i collaboratori Barbara Concutelli ed Egidio Schiavetti. I fatti risalgono agli anni 2005-2008: in quel triennio vengono stati stanziati i fondi pubblici, utilizzati – secondo i giudici contabili – in spregio dell'interesse pubblico e in maniera difforme rispetto all'oggetto dello stanziamento. Il processo penale per truffa aggravata si è chiuso con la prescrizione del reato ma, lo scorso febbraio, era arrivato il rinvio a giudizio di D'Amato sul fronte amministrativo, firmato dal pubblico ministero contabile Barbara Pezzilli e dal procuratore generale Pio Silvestri.

Alessio D'Amato e "Fondazione Italia – Amazzonia onlus"

La vicenda gira attorno a due associazioni attraverso le quali si sarebbe realizzato l'uso disinvolto dei fondi pubblici e la distrazione dei soldi dalle originarie finalità. C'è l'associazione "Fondazione Italia – Amazzonia onlus", della quale D'Amato è stato fondatore, vicepresidente e presidente onorario, la quale è stata destinataria di 275mila euro – attraverso due finanziamenti – per il programma di promozione di "iniziative di carattere sociale, culturale e sportivo di peculiare interesse per la regione". Bisognava quindi, con quei soldi, realizzare progetti di ricerca e valorizzazione delle culture dei popoli amazzonici. E, invece, i soldi dei cittadini sono stati utilizzati per sostenere, in modo indebito, "l'attività politica e di propaganda elettorale svolta dall'associazione Rosso Verde-Sinistra Europea, che nel periodo in esame ha espresso propri candidati alle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e alle comunali del 29-29 maggio 2006", si legge nell'atto d'accusa della procura accolto integralmente dai giudici. Così è arrivata la sentenza e la richiesta di restituzione del danno erariale: un pronunciamento contro il quale tutti i coinvolti hanno annunciato ricorso.

Non solo D'Amato ha ritenuto "ingiusta ed ingiustificata" la sentenza, facendo poi ricorso in Appello, ma anche annunciato un esposto al consiglio di presidenza della Corte dei Conti e una denuncia per falso ideologico alla Procura della Repubblica di Roma. Tuttavia basterebbe leggere la sentenza per scoprire che i giudici hanno vagliato - come doveroso - le obiezioni proposte dalla difesa di D'Amato, ma le hanno giudicate irricevibili. Sia per quanto riguarda l'eccezione di prescrizione che avrebbe fatto chiudere, come nel caso penale, in un nulla di fatto il procedimento contabile, sia quello che è stato il il tentativo della difesa di depositare pezze d'appoggio per le spese sostenute: "documentazioni giustificative alterate", come le definiscono i giudici Tommaso Miele, Massimo Balestieri, Giovanni Guida, che scrivono di "un preordinato sistema decettivo con finalità distrattive".

Bocciata anche la Regione Lazio

C'è un punto particolare nel quale la sentenza boccia pesantemente l'operato di D'Amato, che "ha fatto gravare sul bilancio regionale spese e costi privi di alcun interesse pubblico e generale, che avrebbero dovuto essere invece sostenuti in definitiva dal gruppo consiliare in discorso e da lui stesso con fondi propri e non già dell’amministrazione di appartenenza", si legge. La Corte boccia anche l'inerzia della regione Lazio, guidata da Nicola Zingaretti con assessore proprio D'Amato: amministrazione danneggiata che "non ha posto in essere nell'ampio lasso temporale intercorso dall'emersione delle predette criticità iniziative volte a tentare il recupero delle somme illegittimamente corrisposte". D'Amato, fino adesso e fino a prova contraria, non ha versato neanche un euro del danno erariale causato alla regione Lazio, ente che ambisce ad amministrare insieme al suo capo della segreteria, Egidio Schiavetti.

Ora, paradossalmente, non sono stati tanto gli esponenti di centrodestra ad avergli contestato fortemente questa sua vicenda giudiziaria, ma quanto Giuseppe Conte, leader di un movimento politico, sulla carta, possibile alleato del celebre 'campo largo' con il Partito Democratico. L'ex presidente del Consiglio, appena un mese fa, aveva pronunciato queste parole per spiegare il mancato accordo tra 5 Stelle e PD. "Io non posso accettare che in una lista del Movimento 5 Stelle ci possa essere una persona che deve alla Regione Lazio quasi 300mila euro perché ha creato un danno erariale accertato dallo Stato. Non posso accettarlo come candidato alla Regione, perché non posso candidare una persona che deve alla sua regione, mentre si candida ad amministrarla e governarla, una somma accertata dai magistrati contabili. La questione morale esiste o non esiste? Ci accusano di essere giustizialisti, ma io sono garantista nel midollo, da avvocato so quanto la presunzione di innocenza e il ruolo del difensore siano essenziali.

Ma cosa c’entra col fatto che si fa finta che non ci sia un danno erariale accertato?". Ecco, il punto si rivela essere proprio questo: con questo fardello non poco leggero sulle spalle, può Alessio D'Amato ricoprire in un imminente futuro il ruolo di presidente della Regione Lazio?

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