Altro che diseredato... Il marchese Doria possiede ventuno case

Il candidato di sinistra sostiene che il padre rinunciò al titolo nobiliare per il Pci. Ma nasconde un’eredità che vale 30 milioni. E vive in 17 vani in centro

Altro che diseredato... Il marchese Doria  possiede ventuno case

nostro inviato a Genova

Buon sangue non mente. Tranne qualche volta. Lasciate stare il nonno, ha detto Marco Doria candidandosi a sindaco di Genova. Ma quale titolo nobiliare, aveva replicato al Pdl che, schierando Pierluigi Vinai, ironizzava sulla Sinistra in corsa nella Superba col primo dei superbi, discendente del casato più antico e celebre della città. Ignoranti: «Mio padre Giorgio fu diseredato dalla famiglia quando si iscrisse al partito comunista». Lo chiamavano il «marchese rosso», non a caso, e giù a ricordare con vanto i tempi in cui papà suscitò scandalo nella Genova bene, e non tornò sui suoi passi neppure quando i suoi congiunti lo attaccarono per una scelta ideologica e di vita lacerante rispetto alle origini aristocratiche e liberali.

Buon sangue non mente e infatti è da papà che Marco ha preso tutto. Il mancato titolo, e gli immobili. Tanti: ventuno per l’esattezza. Cinque negozi, un garage, un magazzino, tredici appartamenti e un immobile a destinazione speciale. Tutti nelle vie e nei quartieri più prestigiosi. Un appartamento di 10 vani, più tre garage e un negozio in via Ageno Bombrini a Sampierdarena, la sola strada nobile di quello che per il resto è un quartiere popolare, intitolata al commendatore e senatore che guidò la Banca del Regno d’Italia. Un appartamento di 8 vani in via Montallegro, due di 10 e 4 vani in via Franzone, uno di 5,5 vani in via Zara, e cioè nelle tre vie più belle della collina di Albaro, che si arrampica alle spalle del lungomare e che i genovesi semplicemente chiamano «la zona dei ricchi».

E poi il gettonatissimo centro storico: tre negozi in vico del Ferro, un appartamento di 17,5 vani in vico della Chiesa della Maddalena, dove possiede anche un negozio e un laboratorio magazzino da 218 metri quadri.
Ma su tutto corso Garibaldi, già Strada Maggiore e poi via Aurea, che ospita magnifici palazzi dagli interni affrescati e che fa parte del Patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Per la maggior parte, gli immobili, ereditati da papà Giorgio, «testamento olografo» dicono le visure, e suddivisi fra i fratelli Doria, Marco, Clemente e Giuliano, e la di loro madre Nora Adele Goldschmiedt.

Un patrimonio che sul mercato vale oltre 30 milioni di euro, ammesso di poter dare un valore a palazzi come quello al civico 6 di via Garibaldi, che sarà il caso ma si chiama Palazzo Doria, nel quale Marco e famiglia possiedono il piano terra che ospita la Banca Carispezia, l’ammezzato, il primo e il secondo piano occupati dal Circolo Tunnel, e poi un appartamento di 14 vani al terzo piano e quattro appartamenti al sesto, uno dei quali di 16,5 vani. Tanto per dire: il circolo Tunnel, classificato come D8, e cioè immobile a destinazione speciale, ha una rendita catastale di diconsi 79.200 euro, contro i 1988 euro del pur prestigioso appartamento di 14 vani al terzo piano.

Ogni anno, il Tunnel paga un affitto di 120mila euro. Poiché la proprietà è suddivisa in sesti, Clemente che ne ha i tre sesti ne incassa 60mila, agli altri tre componenti della famiglia vanno 20mila euro a testa. Sul totale del valore di mercato degli immobili (nove di sua proprietà, gli altri suddivisi in sesti), il Doria candidato alla fine, se vendesse tutto, potrebbe contare su 10-12 milioni di euro. Fosse un vero comunista, di quelli che la proprietà privata è un furto, Genova avrebbe risolto metà dei suoi problemi. Del resto, se fosse un compagno vero, Marco forse avrebbe cambiato la categoria catastale di almeno uno dei suoi appartamenti in A1, categoria di lusso, e invece sono tutti ordinari se non popolari, alcuni addirittura in A10, cioè senza bagno o riscaldamento.
Lui, tanto per non fare il figlio di cotanto papà, la casa dove vive se l’è comprata. Trattasi di 17,5 vani su due piani, rendita catastale 4.699,76 euro, che significa un valore ai fini fiscali di 775.460 euro, e un sul mercato di oltre un milione. Categoria A 2, ordinaria, vabbè. Ubicato in vico della Chiesa della Maddalena, uno dei preferiti dai radical chic che vogliono ostentare la propria appartenenza al popolino. Un altro appartamento che Marco si è comprato da sé è in piazza della Maddalena, 6 vani con una rendita catastale di 906 euro che il compagno professore ha diviso in due appartamenti da tre vani. Mentre i 10 vani di via dei Franzone 2, in Albaro, li ha comprati con la moglie: in separazione dei beni, che va bene il comunismo, però ciò che mio è mio. Del resto, a Marco i soldi non mancano, ché oltre alla docenza universitaria è stato nel Cda di Filse, la Finanziaria della Regione, vicepresidente di Liguria ricerche, consigliere di Cooperfidi ed è tuttora nel Cda della Urban Lab Genoa International School.

Le colpe dei padri non ricadono sui figli. L’eredità sì.

Ditelo a don Gallo il prete dei diseredati, che al diseredato marchese arancione mette a disposizione un locale della sua comunità di San Benedetto per la campagna elettorale. Dice un proverbio genovese: «O cù e i dinê no se mostran a nisciun». Per la traduzione, chiedere a Doria.

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