Avvocati sul piede di guerra "Noi non siamo una casta"

L'Italia ha il maggior numero di avvocati in Europa, circa 240mila. Ma il governo liberalizza. Chi ci guadagna e chi ci perde. Ne abbiamo parlato con l'avvocato Marta Colombo di Milano. Professional day, a confronto 27 fra ordini e collegi di 106 province: "Liberalizzare ma non sulla nostra pelle"

Avvocati sul piede di guerra "Noi non siamo una casta"

Il governo da settimane è impegnato sulle liberalizzazioni. Lo scopo della riforma, che l'esecutivo ha presentato all'esame del parlamento sotto forma di decreto, punta in buona sostanza ad aumentare l'offerta e abbassare i prezzi. Da tempo l'Ue ci chiede di mettere mano alle professioni. Il cambiamento annunciato, com'era inevitabile, ha causato la preoccupazione e le proteste delle categorie interessate: taxisti, farmacisti, edicolanti. Anche gli avvocati sono saliti sulle barricate. Il Giornale.it ha intervistato l'avvocato Marta Colombo, di Milano, per cercare di comprendere meglio le ragioni della protesta.

La liberalizzazione del vostro settore perché non piace agli avvocati?
La nostra professione è - di fatto - già ampiamente liberalizzata. In Italia ci sono circa 240.000 avvocati (1/4 del totale europeo), non c'è numero chiuso all'università, cui si può accedere con qualunque diploma, non c'è sbarramento nemmeno per l'esame di accesso alla professione, che può essere ripetuto infinite volte (diversamente da quello di magistratura che dopo tre fallimenti non può essere più ritentato).

Come rispondete a chi vi accusa di voler solo difendere la vostra "casta"?
Non siamo una casta: si legge in questi giorni dei "privilegi" dei professionisti, ecco io vorrei sapere quali sono questi privilegi! Siamo in tantissimi, la concorrenza è spietata... certo ci sono alcuni studi famosi che fatturano cifre altissime, magari sono legali di banche e assicurazioni o di multinazionali, ma il grosso della nostra professione è formato da piccoli studi da 1 a 10 professionisti che devono fare i conti con contributi previdenziali sempre più elevati, assicurazioni (rischio professionale, infortuni, malattia), tribunali e uffici pubblici sempre più inefficienti, obblighi di aggiornamento professionale, ecc.

Se non favorisce gli avvocati e, secondo voi, nemmeno i clienti... chi ci guadagna dalla liberalizzazione della vostra categoria?
Questa liberalizzazione non era certo necessaria, proprio perché nel nostro campo la concorrenza è già tanta. L'abolizione delle tariffe può favorire i clienti "potenti" (banche, assicurazioni) che possono imporre ai loro legali dei prezzi bassi. Per gli studi piccoli, e per i piccoli clienti (privati, piccole aziende), può essere un boomerang non avere una tariffa ufficiale, e quindi un punto di riferimento per valutare la congruità del prezzo richiesto dal legale.

Qual è il punto, nella riforma, più contestato?
Secondo me è l'abolizione totale delle tariffe. Già dal decreto Bersani del 2006 non erano più obbligatorie, quindi comunque si potevano già fare accordi per importi inferiori ai minimi. Ora si perde un riferimento importante, che in altri paesi invece c'è (in Germania le tariffe forensi sono stabilite per legge). E' evidente che la prestazione di un avvocato non può essere equiparata a un servizio commerciale: la concorrenza va bene, ma nella consapevolezza che la nostra professione è volta alla tutela dei diritti dei cittadini, che non si vendono al mercato "un tanto al chilo". Inoltre, non basta liberalizzare la professione dell'avvocato per sistemare i mali della Giustizia... Nessuno dice che negli ultimi due anni lo Stato ha aumentato paurosamente gli importi di bolli e tasse varie che vanno pagate per accedere alla Giustizia: questi sono pesi che di fatto limitano l'accesso alla Giustizia e che erodono anche le parcelle degli avvocati, spesso costretti a "sconti" sugli onorari perché gli importi da versare allo Stato sono aumentati. Inoltre sono balzelli iniqui perché colpiscono allo stesso modo tutti i ceti sociali indipendentemente dai redditi. Un altro punto che non piace è il periodo di tirocinio abbassato a 18 mesi di cui 6 effettuabili durante l'università: già gli attuali 2 anni di tirocinio (vero) non sono sufficienti per avere una formazione decente alla professione.

C’è, invece, una misura che vi piace, o non vi dispiace?
L'idea di fare un preventivo scritto di per sé non è male, perché consente anche all'avvocato di dire subito al cliente quale sarà l'importo della prestazione, predisponendo magari dei pagamenti dilazionati nel tempo, in modo da non dover attendere la fine della causa per farsi pagare e poi avere magari la sorpresa di un cliente che "scappa" (nel frattempo il preventivo scritto è saltato, ndr). Peraltro, è molto difficile preventivare, all'inizio, tutte le possibili attività, perché il diritto non è una scienza esatta, e ci sono tantissime variabili che sono indipendenti dalla volontà del legale: il comportamento della controparte, la linea che seguirà il Giudice (di fronte a situazioni identiche, può accadere che due giudici adottino provvedimenti diversi), i continui trasferimenti dei Giudici stessi o la loro "applicazione" ad altri incarichi.

L'Italia ha il maggior numero di avvocati in Europa. Perché siamo più litigiosi rispetto agli altri o c'è qualche difetto nel sistema?
Secondo me i motivi sono molteplici: in Italia siamo sicuramente molto litigiosi; peraltro, negli ultimi decenni sono aumentati moltissimo anche i settori di contenzioso e quindi le specializzazioni (pensiamo alla tutela del consumatore, ai risarcimenti per responsabilità medica, al diritto ambientale). In passato si è tollerato che molti aspiranti avvocati si "trasferissero" al Sud a fare l'esame perché c'era la sicurezza di passarlo... questo ha comportato un ingresso nella professione di tantissimi nuovi avvocati, di cui molti non del tutto meritevoli. Poi si è¨ corsi ai ripari e oggi queste manovre non sono più possibili. Però siamo comunque tanti, e questo dimostra che siamo già molto liberalizzati.

Abolire le tariffe secondo voi è sbagliato. Ma non è giusto che ogni professionista possa praticare il prezzo che vuole magari anche più basso degli altri, se è alle prime armi, e vuole cercare di farsi una clientela?
Non è sbagliato, in linea di principio, che ognuno pratichi la propria tariffa, ma ci vuole comunque un criterio di riferimento. Il problema è che il tipo di prestazione che noi svolgiamo comporta una responsabilità enorme: noi quotidianamente trattiamo questioni anche molto delicate, entriamo nella vita anche privata dei nostri clienti (ad esempio nelle separazioni, divorzi, successioni, casi di malasanità o incidenti gravi), che richiedono competenza tecnica e qualità umane per fornire al cliente la migliore tutela. L'impostazione di una causa - sia in "attacco" che in "difesa" - non è cosa facile, come non lo è redigere un parere su un contratto o su una successione. Per questo studiamo per 5 anni e poi facciamo pratica per 2 anni e poi un ulteriore esame. Far scadere un termine, dimenticarsi di proporre un'eccezione, non presentarsi a una udienza sono "errori" che possono determinare effetti devastanti sulla situazione del cliente (sia nel civile, dove si tratta generalmente di denaro, ma soprattutto nel penale, dove in gioco c’è la libertà stessa dell'individuo). Un lavoro che comporta questo tipo di studio e di responsabilità non può costare come la sostituzione di un rubinetto o come la riparazione di un fanale dell'auto, anche se chi lo fa è “alle prime armi”. Non dimentichiamo, poi, che la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, così come il diritto alla difesa, sono pilastri della democrazia, sanciti dall'art. 24 della Costituzione. Non si può ridurre questo principio fondamentale a un mero "scambio commerciale", anche perché questo scambio non coinvolge sono solo avvocato e cliente, ma anche un Giudice (quindi lo Stato) e una controparte. Ora saremo obbligati a indicare nel preventivo il numero della nostra polizza professionale, che ci tutela dagli errori che possiamo commettere: anche questo è un costo che sosteniamo, e che tutela noi ma anche i nostri clienti.

Negli Stati Uniti, ma non solo là, se uno prende la metropolitana o sfoglia un giornale trova la pubblicità degli studi legali che ricordano quante cause hanno vinto in un anno e quanti risarcimenti hanno ottenuto per conto dei loro clienti. In Italia la parola pubblicità, per gli avvocati, è quasi una bestemmia. Ora forse qualcosa cambierà. Come la vede?
Già da qualche anno è possibile farsi pubblicità, ma questa non può essere comparativa né può tendere all'accaparramento della clientela (tipo "vieni da me, ti faccio vincere tutte le cause"). Da noi permane un principio, che può sembrare antiquato ma non lo è, della dignità e del decoro della professione, che verrebbe svilita da una pubblicità troppo commerciale. Peraltro, sono comparsi in internet e in televisione spot pubblicitari di associazioni di consumatori che promuovono il proprio servizio di consulenza legale mostrando avvocati in toga in scene tipo Rambo: questo è¨ permesso a queste associazioni, ma un avvocato singolo non potrebbe farlo! tanto più indossando la toga, simbolo della professione come il camice per il medico... Bisognerebbe eliminare questa anomalia per cui il professionista non può pubblicizzarsi in certe modalità ma una associazione può farlo...

Il nostro Paese è tra quelli, nel mondo, che più ha difficoltà a fare le riforme. E quando si prova a farle non vanno mai bene e si scende in piazza, o si sciopera, per contestarle. Secondo voi si doveva/poteva cambiare qualcosa, nella vostra categoria?
Nella nostra categoria forse bisognerebbe fare una riforma vera dell'esame, per fare in modo che diventino avvocati solo i meritevoli, inoltre gli Ordini dovrebbero effettuare una verifica più rigorosa sull'effettuazione della pratica forense, che in molti casi è fittizia.

Voi siete una delle colonne della giustizia italiana. Da dove si dovrebbe partire per cominciare a riformarla e renderla più efficiente?
Non è possibile che fino a qualche mese fa si dicesse che "la giustizia è lenta perché ci sono troppi avvocati" e adesso invece bisogna "liberalizzare" la professione di avvocato, così ce ne saranno ancora di più. Sarebbe il caso che tutti facessero un po' di autocritica, magistrati e istituzioni compresi. E' esperienza quotidiana di un avvocato vedere cancellerie inefficienti, a causa di organici insufficienti ma anche di disorganizzazione...

Dovrebbe essere compito dello Stato...
Certo, ma gli avvocati ormai da decenni si accollano tantissime incombenze che spetterebbero ai cancellieri: ad esempio la redazione dei verbali, fotocopie degli atti, timbri "di congiunzione" sulle copie da autenticare, tra l'altro utilizzando carta e fotocopiatrici messi a disposizione dall'Ordine degli avvocati, e portandosi i fogli "uso bollo" per i verbali perché lo Stato non ha i soldi per comprarli. Sono gli Ordini a occuparsi anche delle pratiche per l’accesso al Patrocinio a spese dello Stato, così sollevando il Ministero da una incombenza non indifferente (tra l’altro le parcelle del patrocinio gratuito vengono pagate dallo Stato dopo circa due anni dalla fine della causa o del processo).

Finora sulla Giustizia si è intervenuti con misure parziali e non organiche, che non possono essere definiti "riforme" vere e proprie...
Le faccio un esempio: il "rito societario", introdotto nel 2003 è stato poi abolito nel 2009. Ora il Governo introduce le sezioni specializzate in diritto di Impresa, con rito velocizzato (e contributo unificato quadruplicato rispetto a una causa ordinaria): è una beffa per chi - sia magistrati che avvocati - vive quotidianamente la giustizia e si vede calare dall'alto “riforme” che tali non sono, che vengono tolte e poi rimesse, senza risolvere i veri problemi. Bisognerebbe rivoluzionare completamente il sistema della Giustizia, innanzitutto creando prassi virtuose come quelle che alcuni magistrati "illuminati" hanno già realizzato (penso all'ormai famoso "modello Barbuto", dal nome del presidente del Tribunale di Torino, che è riuscito a smaltire tantissimo arretrato), semplificando i riti e introducendo la meritocrazia anche per magistrati e cancellieri. Se per gli avvocati la selezione deve farla il mercato, è chiaro che ciò non può avvenire per una amministrazione pubblica, che deve dotarsi di sistemi per premiare l'efficienza.

Mi dice almeno una cosa che le piace del suo lavoro e una, invece, che non sopporta?
Mi piace il contatto con la gente, il

fatto di conoscere tante storie diverse e di poter contribuire alla tutela dei diritti dei cittadini. Quello che non mi piace è l’inefficienza e la disorganizzazione dello Stato, con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni.

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