Al momento, la Rivoluzione Civile l'ha scatenata dentro la magistratura. Contro di lui. Alla faccia dell'adagio latino Canis canem non est. La verità è che la candidatura di Antonio Ingroia ha scatenato una vera e propria lotta tra magistrati. Trovarne uno pronto a difendere l'ex procuratore aggiunto di Palermo è impresa da rabdomante.
Di toghe pronte a "sbranarlo" invece se ne trovano a iosa. Persino nella schiera degli amici. Basti ricordare la critica (seppur accompagnata da aperture di credito) del procuratore Giancarlo Caselli che su Repubblica parlò di Ingroia in questi termini: "È un amico. Ha ottenuto di recente un incarico importante dall’Onu in Guatemala. Penso che interromperlo sia un problema anche sul piano dell’immagine internazionale dell’Italia. Ingroia ha ottenuto dall’Onu quell’incarico anche come riconoscimento della sua capacità di magistrato. L’interruzione crea indubbiamente problemi anche di immagine”.
Ma oltre a Caselli, l'ultima bacchettata è arrivata da Ilda Boccassini. "Come ha potuto Antonio Ingroia paragonare la sua piccola figura di magistrato a quella di Giovanni Falcone? Tra loro esiste una distanza misurabile in milioni di anni luce. Si vergogni". Parole durissime quelle pronunciate al Tg di La7 dal magistrato di Milano nei confronti del leader di Rivoluzione civile in risposta alle sua denuncia esternata qualche giorno fa.
L'ex pm siciliano si era infatti lamentato delle critiche piovutegli addosso alla cerimonia dell'anno giudiziario e alle quali aveva risposto così: "Le battute e le velate critiche espresse da alcuni magistrati per la mia decisione di candidarmi sono un copione che si ripete, è successo anche ad altri più importanti e autorevoli magistrati, a cominciare da Giovanni Falcone” che "quando iniziò la sua attività di collaborazione con la politica le critiche peggiori giunsero dalla magistratura”.
È stato proprio il paragone con Falcone a mandare su tutte le furie la Boccassini. L'ex pm, dagli studi di Ballarò, ha ribattuto: "La Boccassini non ha letto le mie dichiarazioni, io ho detto cose diverse e cioè che ho percepito una reazione stizzita da parte di alcuni magistrati rispetto all’impegno in politica, così come accadde con Falcone quando andò a lavorare al ministero della Giustizia con Claudio Martelli. Non mi sono paragonato a Falcone, alla Boccassini dico che prima di sparare a zero è meglio informarsi prima di parlare".
Chissà se la replica del neopolitico farà cambiare idea alla Boccassini. Intanto, è indubbio che già mesi fa, il pm di Milano aveva lanciato frecciate nei confronti di Ingroia in merito alla vicenda delle intercettazioni tra Mancino e il consulente giuridico del Quirinale, Loris D'Ambrosio. "D'Ambrosio ha salvato l'integrità della magistratura eppure è stato oggetto nelle ultime settimane di attacchi ingiusti e violenti", affermò la toga di Milano. Ed è proprio nel caso D'Ambrosio che si annida l'inizio della rivoluzione togata contro Ingroia.
Non per nulla, proprio in quel periodo anche Magistratura democratica, la corrente di sinistra di cui Ingroia è stato un esponente, lanciava bordate nei confronti dell'ancora procuratore aggiunto di Palermo, bollando come "inopportuna" la sua "ricerca esasperata di esposizione mediatica".
Il che non è una novità per Ingroia. Il suo presenzialismo nei salotti di Santoro, nei convegni della Fiom e dell'Idv, fino al famigerato convegno dai Comunisti italiani (dove si dichiarò partigiano della Costituzione) è stato più volte stigmatizzato dagli stessi vertici dell'Anm e del Csm. Pochi giorni fa, all'inaugurazione dell'anno giudiziario, diversi colleghi hanno biasimato la discesa in campo di Ingroia.
Giorgio Santacroce, presidente della Corte d’Appello di Roma, ha dichiarato: "Non mi piacciono i magistrati che non si accontentano di far bene il loro lavoro, ma si propongono di redimere il mondo. Quei magistrati, pochissimi per fortuna, che sono convinti che la spada della giustizia sia sempre senza fodero, pronta a colpire o a raddrizzare le schiene. Parlano molto di sé e del loro operato anche fuori dalle aule giudiziarie, esponendosi mediaticamente, senza rendersi conto che per dimostrare quell’imparzialità che è la sola nostra divisa, non bastano frasi ad effetto, intrise di una retorica all’acqua di rose”. Ogni riferimento a Ingroia era puramente non casuale.
A Santacroce ha fatto seguito il presidente della Corte d’Appello di Bari, Vito Marino Caferra: “Non si discute della legittimità di certe scelte ma si pone soltanto un problema di opportunità politico-istituzionale. Il caso del magistrato che nell’esercizio delle libertà fondamentali (riconosciute ad ogni cittadino) svolge attività politica attiva pone un serio problema di credibilità non solo per il singolo magistrato ma per l’intero ordine giudiziario".
Il presidente della Corte d’appello di Genova, Mario Torti, ha parlato di anomalia in merito a "quei magistrati che, dopo aver acquisito notorietà in campo professionale, magari con esposizioni mediatiche non proprio misurate, lasciano temporaneamente la toga per questo o quel partito politico".
Poi è arrivato anche il duro richiamo della Corte d’appello di Palermo, per bocca di Vincenzo Olivieri: “Noi magistrati dobbiamo capire che è arrivato il momento di modificare molti dei nostri atteggiamenti. La comunità nazionale e internazionale ci scruta, stigmatizzando l’enfasi mediatica che viene data a certi provvedimenti, la sovraesposizione e i protagonismi di alcuni costantemente presenti in talk show televisivi dove disquisiscono di processi in corso".
Infine, per tornare a Milano, a fare compagnia alla reprimenda della Boccassini, ci ha pensato giorni fa il pm Armando Spataro: "Avrei preferito vederlo prima portare a termine il delicato processo (quello sulla trattativa Stato-mafia, ndr) in cui era impegnato".
Insomma, in una storia repubblicana che ha annoverato da sempre magistrati che sono scesi in politica, adesso che uno dei più discussi (per non dire politicizzato) si candida, ecco che scoppia la vera rivoluzione civile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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