Ma che cos’è questa Lega? Non la riconosciamo più. Umberto Bossi dice che Silvio Berlusconi gli fa pena. Da quando? Dal giorno in cui non è più suo socio in affari politici, che poi sono affari tout court. Roberto Calderoli parla, e dalle sue parole emerge disprezzo. Per chi? Tutti. Luca Zaia non è ancora riuscito a chiudere il bilancio della Regione di cui è governatore, il Veneto. Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, è in lotta col suo stesso partito e col Pdl per via delle liste e di varie sviste. Il presidente del Consiglio regionale della Lombardia, Davide Boni, è sotto inchiesta per mazzette: sarà innocente, ma bisognerà vedere che ne pensa la magistratura. Attendiamo fiduciosi.
Fermiamoci qui per carità di patria padana. Ma se questo non è un casino, che è? Evidentemente stare all’opposizione non garantisce di vivere una stagione felice e di unità. Anche il Carroccio, dopo anni- oltre 20di tenuta comincia a scricchiolare, è sul punto di perdere una o due ruote, sbanda.
Si va verso elezioni amministrative. Competizione difficile, specialmente per un movimento, come quello leghista, che ha sempre guardato al territorio dal quale ha tratto le proprie fortune. Se oggi la Lega si presenta agli elettori così malconcia non ha alcuna probabilità di successo. La gente è stanca del ceto politico. Non lo odia. Peggio: lo disprezza, e lo evita. Quella di Alberto da Giussano è la formazione più vecchia del Parlamento: ha quasi 30 anni. Sicuri che non abbia deluso, stufato, annoiato? Fossi un dirigente in camicia verde cercherei di fare un bilancio del trentennio di attività. E magari mi accorgerei di non aver combinato niente.
Non fraintendete. In parecchi Comuni la Lega ha bene amministrato, riuscendo a tenere alto lo spirito innovativo della prima ora: attenzione ai problemi dei cittadini, rispetto delle norme di buona gestione finanziaria, tutela delle tradizioni eccetera. Ma non ha colto uno solo degli obiettivi qualificanti: il federalismo è andato a pallino, per citare il fallimento maggiore. Ci ha provato in ogni modo a portarlo a casa, ma non ce l’ha fatta. Era un progetto troppo ambizioso, addirittura velleitario. Non lo si poteva realizzare in un Paese per metà terrone e per metà di sinistra, quindi ostile alla responsabilizzazione delle regioni inclini a farsi trainare dalla locomotiva nazionale, il Nord.
In effetti è passato un federalismo all’acqua di rose e di là da venire, lontano mille miglia dal modello svizzero caro ai leghisti della vecchia generazione. Inoltre, Mario Monti ha fatto capire in ogni modo il suo pensiero: centralizzare, altro che decentrare. Bossi forse si rende conto del dramma e tenta di sparigliare con qualche ruggito. Finché se ne stava seduto alla destra del Cavaliere, egli poteva alimentare nei suoi la speranza che prima o poi il Nord si sarebbe riscattato. Ma adesso che il Senatùr ha scelto di staccarsi dal Pdl, non ha più carte credibili da giocare. E la butta in rissa, mostra i muscoli non potendo mostrare altro: il programma originario è saltato e non ce n’è uno alternativo in grado di suggestionare la base.
Nella Lega si avverte il pericolo di una diaspora e ciascuno, al grido «si salvi chi può», cerca un rifugio. Dove? Dove capita. La tentazione è quella di esasperare lo spirito localistico: i veneti nel Veneto, i lombardi in Lombardia e via spezzettando. Si rafforza nei colonnelli della Lega la convinzione che abbia ragione chi la spara più grossa. E Bossi, che degli spacconi è il re, non esita a dire che Berlusconi gli fa pena. La prima regola per alzare se stessi è abbassare gli altri. In politica la adottano in molti. Anche i leghisti.
Contenti loro...Comunque il centrodestra in questa maniera si indebolisce. Semmai si irrobustisce il centro.E la Lega col centro non è mai andata d’accordo. Nella presente congiuntura, rischia di rimanere col cerino in mano.
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