RomaNicola Cosentino, politicamente, non conta più nulla. E il carcere allora non è più giustificato. Arriva dalla Cassazione la motivazione della sentenza che il 27 giugno ha annullato con rinvio l'ordinanza del tribunale del Riesame di Napoli che confermava invece la reclusione per l'ex esponente del Pdl.
Per i giudici della sesta sezione della Suprema Corte, la mancata ricandidatura, il «tracollo politico», la perdita di cariche istituzionali sono elementi da prendere in considerazione nel valutare l'attualità delle esigenze cautelari per l'ex sottosegretario all'Economia.
Come può Cosentino, si chiedono, reiterare i reati che gli sono contestati, dopo le dismissione dalle sue cariche? «Le organizzazioni camorristico-mafiose - afferma la Cassazione- non hanno interesse a servirsi di politici bruciati».
Quanto ai presunti legami dell'ex coordinatore regionale del Pdl con il clan dei Casalesi, per i quali l'ex parlamentare è a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa in due distinti procedimenti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nella sentenza depositata ieri si spiega che il Riesame non dimostra «un interesse del clan di riferimento a rivolgersi ancora all'indagato» e non fa riferimento ad «episodi da cui desumere che anche dopo i fatti contestati, piuttosto risalenti nel tempo, Cosentino abbia continuato a mantenere relazioni con l'organizzazione criminosa». Non sembra neppure supportata da seri elementi, «l'affermazione in ordine al suo residuo potere».
Gli ermellini ordinano dunque una nuova udienza al Riesame di Napoli, che sulla base di questi rilievi dovrà pronunciarsi di nuovo sulla richiesta di scarcerazione.
Per ora, sottolinea la Cassazione, manca una «adeguata e logica motivazione sulla probabile rinnovazione di analoghe condotte criminose» dell'ex sottosegretario. È vero che, in casi di reati contro la pubblica amministrazione, le dimissioni dalla carica dell'indagato non incidono in genere sulla sua pericolosità sociale, ma la Suprema Corte accoglie la tesi della difesa che il giudice debba comunque giustificare la sua decisione.
Gli avvocati Stefano Montone e Agostino De Carosi avevano fatto ricorso contro l'ordinanza del Riesame del 29 marzo sostenendo appunto che, dopo la non ricandidatura e la perdita di qualsiasi incarico politico, non ci sono motivi sufficienti a tenere ancora Cosentino a Secondigliano.
I giudici avevano respinto la richiesta di revoca del carcere, ma per la Cassazione avrebbero svolto «una valutazione astratta sulla consistenza del potere politico dell'indagato, valutazione che deve essere riempita di contenuti concreti rivolti all'attualità e non riferiti solo al passato».
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