L’applicazione dell’Imu è stata anticipata di due anni e l’impianto della stessa è stato totalmente innovato, fino a trasformare la vecchia Ici in un’imposta - di fatto - più statale che locale. In meno di tre mesi, la tassazione del patrimonio immobiliare (e dei relativi contratti per la sua utilizzazione) è stata letteralmente sconvolta. All’aggravio dell’aumento del 60 per cento della base imponibile (attraverso lo stabilito aumento delle rendite catastali), si è così aggiunto l’aggravio che sarà dato dalle aliquote che fisseranno i Comuni per salvaguardare a ogni costo (sprechi a parte) i loro introiti.
In questa situazione (nella quale possedere una casa comporta - incredibilmente - l’obbligo di dover produrre aliunde un reddito per pagare le tasse, come ha del resto rilevato lo stesso sottosegretario Improta sul Corsera del 13 gennaio scorso: «Se non mi sbrigo a vendere un po’ di appartamenti, rischio di lavorare per pagare le tasse»), in questa situazione dunque, e senza volere ancora pensare al già minacciato catasto patrimoniale, il governo propone ora di diminuire dal 15 al 5 per cento la riduzione forfettaria del reddito derivante dai canoni di locazione di cui godono oggi i locatori in funzione delle spese che comunque sul canone gravano, tuttora calcolate nel 30 per cento in sede di determinazione della rendita catastale e a suo tempo stabilite per le locazioni nel 25 per cento e poi diminuite all’attuale 15 per cento, sempre per esigenze di cassa e senza alcuna giustificazione in sé. A tutto questo si aggiunga che la relazione governativa che accompagna la proposta, ipotizza paradossalmente (anche se essa dice «in via prudenziale») «che per la totalità delle locazioni a uso abitativo venga effettuata l’opzione per il regime della cedolare secca» (nel quale il meccanismo della riduzione forfettaria non opera).
Siccome, invece, l’opzione cedolare - per come è stata complicata e resa difficile - riguarda un 20-30 per cento dei contratti, è chiaro che la stima di un aumento di gettito di 365 milioni di euro all’anno, basata com’è sul coinvolgimento delle sole locazioni non abitative, è chiaramente (ed estremamente) sottostimata.
La situazione della proprietà immobiliare e dei contratti di locazione, insomma, era già gravemente critica, soprattutto per i contratti a canone calmierato, come s’è visto. Ora, arriva la proposta di questa nuova penalizzazione che francamente, al di là e al di sopra delle (sbagliate) previsioni di gettito, non sappiamo neppure spiegarci in sé. Specialmente se si considera che - mentre si continua a colpire la proprietà diffusa - si lasciano ancora intatte (come in ogni manovra, dal governo Prodi in poi) le agevolazioni - per l’enorme somma di circa 520 milioni di euro l’anno - di cui godono le società di investimento immobiliare quotate e non quotate nonché i fondi immobiliari (bancari e non).
Confedilizia conta che il Senato - che ha all’esame il provvedimento in questione - prenda seriamente in considerazione la situazione, con un intervento che cancelli la
penalizzazione forfettaria di cui s’è detto. La copertura del provvedimento è stata del resto indicata, se si vuole agire senza perpetuare odiose discriminazioni.Corrado Sforza Fogliani (presidente di Confedilizia)
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