Il Colombiagate resta alla Procura di Napoli. Ombre sull'ex mediatore di D'Alema

Condannato il cognato di Bonavita, referente dello studio cui si appoggiava Baffino

Il Colombiagate resta alla Procura di Napoli. Ombre sull'ex mediatore di D'Alema
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Resta sotto il faro della Procura di Napoli l’intricato caso del Colombiagate, l’inchiesta per corruzione internazionale aggravata che vede indagato, con altre sette persone, l’ex premier Massimo D’Alema.

Che avrebbe tentato di mediare la vendita di navi e aerei militari di Fincantieri e Leonardo al Paese sudamericano. La procura generale ha stabilito, contrariamente a quanto chiesto dagli avvocati di alcuni degli indagati - tra cui l’ex ad di Leonardo Alessandro Profumo e l’ex direttore della divisione navi militari di Fincantieri, Giuseppe Giordo - che la competenza territoriale è dei magistrati partenopei, a cui era arrivato il primo esposto sul caso, e non di quelli romani. L’inchiesta è in corso, resa più complessa dalla transnazionalità delle indagini sull’affare, mai andato in porto, che si è sviluppato nel 2021 tra Roma, Bogotà e Miami.

Fuori dall’indagine però emergono dettagli sul «team» di mediatori che avrebbe affiancato D’Alema nell’operazione che avrebbe dovuto fruttare 80 milioni, il 2% di un business da 4 miliardi. Secondo i pm, la metà del premio sarebbe stata «offerta o promessa a funzionari pubblici colombiani per la buona riuscita dell’affare». Andato in fumo perché Leonardo e Fincantieri non hanno più firmato il contratto con lo studio legale che su indicazione di D’Alema avrebbe dovuto gestire la mediazione, il Robert Allen Law di Miami. Il referente dello studio che affiancava l’ex premier è Umberto Bonavita, anche lui indagato. Curioso il contesto familiare di Bonavita a Miami. Come già raccontato da questo Giornale, il suocero dell’avvocato italiano è un ex agente, ora in pensione, della Dea, l’agenzia antidroga americana, John Costanzo. Lo è anche il figlio, John Costanzo jr. Che dieci giorni fa, come rivela l’Associated Press, è stato condannato, con un altro ex collega, in un processo per corruzione nato da un’indagine interna della Dea sulla presunta divulgazione di informazioni sensibili ad avvocati di sospettati di narcotraffico. Secondo l’inchiesta, Costanzo jr e il suo ex collega, Manny Recio che si dicono estranei alle accuse avrebbero messo in pericolo indagini e informatori. Tutto inizia quando Recio si ritira dall’agenzia per fare l’investigatore privato per alcuni avvocati di uomini dei cartelli della droga. Così avrebbe chiesto a Costanzo jr di entrare nel database della Dea per avere informazioni in cambio di denaro e utilità. Per gli inquirenti lo schema si sarebbe avvalso anche dell’intermediazione di Costanzo senior, «che avrebbe mentito all’Fbi», spiega Ap.

Il padre su Linkedin si dichiara vice presidente dell’italiana Austech srl, con sede a Roma e «rappresentanza a Miami, che fornisce soluzioni di sicurezza a enti pubblici e privati, tra cui i servizi di intelligence in Italia».

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