Cota, l'ex pupillo di Bossi con la mania del rigore

Il governatore del Piemonte ha risanato i conti con i tagli dell'assessore alla Sanità. Che ammira e difende a spada tratta: "Chi tocca lui, tocca me"

Il governatore del Piemonte, Roberto Cota
Il governatore del Piemonte, Roberto Cota

Dopo circa vent'anni di carriera facile facile, costellata di gioiose apparizione tv, Roberto Cota è rimasto incastrato nella guida della Regione Piemonte che ogni giorno di più gli scava una ruga sul viso. Proprio lui che per il faccino liscio e grazioso era noto come «il volto umano del Carroccio».
Cota avrebbe evitato volentieri la presidenza regionale imposta nel 2010 da Umberto Bossi. Gli piaceva fare il capogruppo della Lega alla Camera, apparire nei Tg e andare da Vespa con sempre qualcosa di verde addosso, come il mitico Rolex dal quadrante color smeraldo. Poi, soddisfatta la bulimia televisiva romana, correva a Milano da moglie e figlia per trascorrere il weekend a Pisogno sul Lago d'Orta, nel suo rustico a mezz'ora da Novara, la città natale. Ora, invece, gli tocca amministrare la Regione che, di questi tempi grami, significa solo gatte da pelare.
Il suo problema a Torino si chiama Paolo Monferino, l'assessore alla Sanità. Costui è un cerbero, ex Fiat, che dopo avere dichiarato: «Il Piemonte è tecnicamente fallito», ha tagliato posti letto, chiuso ospedali, esodato medici. Un Monti in salsa piemontese che inguaia la Regione come l'altro l'Italia. Ovviamente, Monferino stringe la cinghia a fin di bene ma con un'arroganza tale da rendere impopolare l'intera giunta leghista. Ignora sia chi protesta, sia chi vuole dargli una mano. Ha così creato un grosso problema di comunicazione tra politica e società in cui Cota rischia lo stritolamento. Ma Roberto è un forsennato estimatore di Monferino. «Chi tocca lui, tocca me», ha dichiarato. Allora se lo ciucci e vediamo come va a finire.
In fondo, il nostro quarantaquattrenne non è diverso dal suo assessore. Fa di testa sua e non dà retta ad alcuno. Ha spesso fulminei scoppi d'ira con scenate isteriche ai collaboratori. Causa rigidezza ha finito per litigare col più caro amico, l'ex sindaco di Novara, Massimo Giordano, oggi suo assessore allo Sviluppo economico. I due, inseparabili dall'infanzia, si sono divisi su sciocchezze. Il che conferma che il nocciolo sta nei caratteri.
Tuttavia, la caparbietà cotiana dà talvolta buoni frutti. Roberto si era da poco insediato, quando la giunta esaminò il caso di un tale che aveva preso numerose multe senza pagarle. In genere, non ci si pensa due volte e si ingiunge al tizio di ottemperare, minacciandolo di sequestro. Cota invece, tra lo stupore generale, bloccò tutto dicendo: «Prima voglio capire perché questo signore non ha pagato». Un segno di attenzione alle eventuali difficoltà di un concittadino che, meglio dei giri di parole, avvicina la politica alla gente.
Michele, il papà di Roberto, è un pugliese di San Severo che, fatto il servizio militare a Novara, si è sposato con una signorina del posto, diventando un importante avvocato cittadino. Ha militato e avuto incarichi nella Dc locale. Il germe democristiano ha attecchito anche nel mite e felpato rampollo che, dopo un periodo di giovanile anticlericalismo, oggi va regolarmente a messa e se la fa con preti e vescovi. Tutti ricordano i banchetti per le firme organizzati da Cota in favore del crocifisso negli uffici dopo una sentenza contraria della Corte Ue.
Leghista militante dal 1990, all'età di 22 anni, Roberto accetta senza drammi le origini meridionali che riesuma regolarmente in periodo elettorale. Per la presidenza alla Regione si è rivolto ai truzzi del Piemonte dicendo: «Sono uno di voi e chiedo il vostro aiuto». Aggiungendo però, per non alienarsi i padani con l'anello al naso: «Sono di origini meridionali ma sono e mi sento settentrionale». Laureato con lode in Legge, il giovin Cota ha fatto l'avvocato e intrapreso una distratta carriera universitaria. Frequentando l'ateneo di Milano ha conosciuto una graziosa ricercatrice, vincitrice del concorso in magistratura, Rosanna Calzolari, che dal 2007 è sua moglie. Oggi, la signora è giudice del tribunale dei minori a Milano. E qui, per ovvie ragioni familiari, abita Cota con la consorte e la piccola Elisabetta. I coniugi frequentano Santa Maria delle Grazie, la medesima chiesa che il premier Monti onora con la sua presenza domenicale.
Roberto e Mario sono anche clienti dello stesso bar, con la differenza che mentre Cota «scende» a prendere un cappuccino, Monti «sale» a fare lo stesso.
La circostanza che il Nostro abiti a Milano ma lavori a Torino suscita reazioni sulla rete. «Mi chiedo a che ora possa essere alla Regione Piemonte visto che passa al Caffè di Piazza Duomo a prendersi un buon caffè. Siamo stufi di queste croste», dice uno. Un altro più ironico: «Cota vive a Milano? Pensavo vivesse in uno studio tv».
Roberto ha diverse passioni private. La principale è l'Harley Davidson su cui scorazza quando può. Un tempo faceva jogging, oggi meno e ha messo su pancetta. Infine, colleziona libri rari.
Questo è ciò che ha coltivato da sé. Per ogni altro aspetto, è una creatura di Bossi. Il suo rapporto con l'ex capataz leghista è filiale. Roberto è stato per Umberto il «figlio politico» che gli è mancato. Bossi ne ha favorita la carriera, ha assistito ai suoi comizi, gli attaccava bottoni telefonici notturni. Con questo angelo custode alle spalle, Roberto ha inanellato cariche, senza sprecare un giorno. L'espressione corrente per riferirsi a lui nella Lega è: «Cota? Ha sempre avuto un c...o pazzesco». Poco più che ventenne era assessore a Novara; nel Duemila, trentaduenne, presidente del Consiglio regionale; dal 2001 al 2006 sottosegretario nei governi del Cav; nel 2006, deputato; nel 2008 è succeduto a Bobo Maroni come capogruppo alla Camera; dal 2010 è Governatore. Nonostante tanti ruoli, non è mai incappato in un guaio giudiziario.
Caduto Bossi, Cota sarebbe stato spazzato via se non avesse avuto il solido trono piemontese. I maroniani lo accusarono di appartenere al «cerchio magico», il gruppo di boiardi bossiani che impedivano agli altri di avvicinarsi al capo. Che ne facesse parte è indubbio. Che fosse un prepotente è escluso.
Roberto è, infatti, di squisita gentilezza d'animo che i rozzoni del partito scambiano stupidamente per cubitale leccapiedismo. Robby, per dire, andava a Gemonio tutte le domeniche a sistemare le rose di Bossi.
Le potava e strappava i «grattacu», come chiamano dalle sue parti i boccioli rinsecchiti. Così come teneva sollevato il portacenere davanti alla sigaretta di Bossi pronto a raccoglierne la cenere in caduta. Poiché una foto lo ritrae nello svolgimento dell'importante mansione, si cominciò a chiamarlo «Onorevole portacenere». Ma sono appunto malignità.


In un solo caso, sono disposto ad ammettere che Cota sia incorso in piaggeria. Fu quando, parlando di Renzo Bossi (il Trota), affermò senza arrossire: «È un talento politico». Era peggio di una sviolinata: era un'idiozia.

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