di Francesco Forte
La disoccupazione si sta aggravando. Ma non pare che sia molto presente nei dibattiti politici, che sembrano calamitati sulle «primarie». In ottobre la disoccupazione è giunta all'11,1%, come nel periodo del 1996-98 all'epoca delle manovre fiscali per entrare nell'euro. Rispetto al minimo raggiunto nel maggio 2007 quando la disoccupazione fu del 5,8 siamo arrivati, in cinque anni e mezzo quasi al raddoppio. Fra settembre e ottobre i disoccupati sono aumentati di 93mila unità, pari allo 0,3%. Rispetto all'ottobre 2011 l'aumento è di 644mila unità, il 29%.
Nell'ottobre del 2011, mentre il governo di Berlusconi era oggetto dei aspri attacchi, la disoccupazione era lo 8,8%. A fine anno, quando si insediò il Monti era al 9,4. Negli 11 mesi è aumentata di 1,7 punti. La disoccupazione dei giovani fra i 15 e i 24 anni è oramai al 36,5%. Questo numero va preso con cautela, in quanto riguarda solo i giovani che non vanno a scuola e include i minorenni di 15-17 anni. Molti giovani lavorano senza contratti ufficiali. Ciò ridimensiona la percentuale del 29%, ma rimane il fatto che su base annua la disoccupazione giovanile aumenta del 5,8% mentre quella complessiva è aumentata del 2,3. E fra settembre e ottobre la disoccupazione giovanile fa un balzo dello 0,6 mentre quella complessiva è aumentata dello 0,3. Come si vede, comunque i disoccupati giovani aumentano a un ritmo doppio degli altri: in parte ciò dipende dal fatto che i pensionamenti sono diminuiti e quindi gli occupati anziani sono aumentati e non ci sono nuove assunzioni, al netto delle sostituzioni per andata a riposo. Una certa colpa la hanno le recenti norme, rivolte a scoraggiare le partite Iva e i lavori della legge Biagi, nella speranza che questo portasse ad aumentare i posti fissi. Le donne considerate nel complesso hanno tassi di disoccupazione maggiori degli uomini: i disoccupati maschi sono il 10,4% della forza lavoro maschile mentre per le donne si tratta del 12,1%. Al Sud aumenta su base annua del 3,6 contro il 3,3 medio nazionale. Ma anche al Nord incide molto.
Dunque la disoccupazione è ora un fatto macroscopico diffuso, e ciò vale in particolare per i giovani e per le donne. Ma di fronte a questi dati che cosa si fa? Il governo non fa misure per il rilancio, i politici dell'arco governativo sono divisi sulle misure da prendere, nel campo del lavoro e in quello tributario e finanziario. Notevoli responsabilità le ha però anche la magistratura, che interpreta le leggi senza considerare gli effetti sull'occupazione.
Si dirà che ciò non è suo compito. Ma non è vero. Nel caso dell'Ilva c'è voluto un decreto del governo (non ancora operativo) per evitare una crisi occupazionale di enormi proporzioni, a cominciare da Taranto, ma con effetti in tutta Italia, mentre un'analisi più prudente dei termini del problema da parte dell'ordine giudiziario lo poteva evitare. E i magistrati del lavoro hanno dato una interpretazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che impedisce di licenziare chi ruba se si tratta di piccole cifre ancorché ripetute e chi si assenta sistematicamente senza plausibili motivi se è già stato, per questo, multato. La giusta causa o il fondato motivo di questi licenziamenti disciplinari sta nell'obbiettivo di difendere il posto di chi lavora.
Se si considerano le sentenze che hanno svuotato gli effetti degli accordi aziendali Fiat, si raggiunge una analoga conclusione. Il fine di questi accordi è la difesa dei posti di lavoro nell'auto in Italia, non la vessazione dei lavoratori. E che dire dalla interpretazione giudiziaria per cui una attività di lavoro autonomo è strutturata e perciò tassabile con l'Irap se il lavoratore autonomo ha un addetto? Sembra fatta apposta per generare lavoro nero.
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