Milano - Non è un sì, ma neppure un giammai. Roberto Maroni apre uno spiraglio all'alleanza con Silvio Berlusconi, nella prima conferenza stampa dopo la prima segreteria politica della nuova era leghista. Nei giorni scorsi, posta sul tavolo la candidatura del Cavaliere, aveva commentato rammaricandosi per Angelino Alfano, «per il quale ho stima e amicizia». Ieri, a domanda ha risposto che «vorrei prima capire che cosa succede lì dentro», e cioè nel Pdl. Poi però ha abbandonato l'aplomb democristiana, strigliando Matteo Salvini. Che non è l'ultimo dei militanti ma il segretario dei lumbard, e che nei giorni scorsi aveva giurato: «Mai più col Cav». Bobo avoca a sé la decisione: «A Salvini ho detto che di alleanze non si occupa lui, ma il consiglio federale su proposta del segretario federale. Ha detto va bene, poteva rispondere in un altro modo».
Già. Anche Bobo, poteva rispondere diversamente ai cronisti, e forse non è un caso che abbia voluto sottolineare che «alla segreteria politica ha partecipato anche Bossi, in un clima di grande collaborazione», là dove il Senatùr non ha mai fatto mistero di avere in Berlusconi un interlocutore privilegiato. Del resto, è sulla legge elettorale che si gioca la partita alleanze, e anche quella della corsa del Carroccio per il Parlamento. In questo quadro, di nuovo non è un caso che la proposta decisa ieri in via Bellerio sia una sorta di Porcellum travestito da proporzionale, sul quale nelle scorse settimane il Pdl si è detto possibilista. In sostanza, trattasi di «miglioramento» del sistema attuale con l'introduzione delle preferenze, il mantenimento della «indicazione preventiva di premier e alleanze», e con «un premio di governabilità alla coalizione che raggiunge il 45%». La Lega chiede «alla Camera uno sbarramento su base nazionale al 4% anche per i partiti che entrano in coalizione, per i quali oggi la soglia è al 3%. Considerando poi che ci sono partiti come il nostro molto forti sul territorio proponiamo in alternativa lo sbarramento al 6% in almeno tre circoscrizioni regionali. Al Senato invece, soglia del 6 % su base regionale».
Soprattutto, Maroni esclude che la Lega potrà mai far parte di una grande coalizione: «non la chiamerei grande, ma innaturale». E ribadisce il sì a presidenzialismo e senato federale, accusando il Pd: «Sono loro, non noi, a non volere le riforme». Poi, Bobo parla al Silvio presidente del Milan per parlare al Silvio leader del Pdl: «Confido in un investimento sui giovani. Ne compri e rilanci la squadra con grandi ambizioni. La Lega lo ha fatto e andrà molto lontano». Per ora a Roma il 24 luglio, per la protesta dell'Anci contro «gli iniqui tagli lineari» della spending review. E poi a Torino Lingotto, dove il 28 e il 29 settembre si terranno gli Stati generali del Nord. La scelta del luogo che diede i natali al Pd di Veltroni non è causale, e neppure la data. Il Monviso è lì attaccato, il che significa che i nostalgici del folklore padano potranno salire alla fonte del Po guidati da Borghezio, e magari da Bossi. Proprio il giorno dopo poi, il rito dell'ampolla si sposta alla foce del «sacro fiume», a Venezia, e lì ci sarà anche Maroni. Un modo per tenere unite tutte le anime, nel giorno in cui un irriducibile bossiano come Giacomo Chiappori, sindaco di Diano Marina, decide di disobbedire alla circolare federale che invita le sezioni a esibire il simbolo senza più il nome di Bossi: «Roba da Urss post Stalin, io mi tengo il vecchio simbolo».
Il resto sono sfide al governo: cancelli anche le Prefetture con le Province, commissari le banche che usano i soldi per patrimonializzarsi e non per aiutare le imprese». La corsa è incominciata.
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