Ecco le carte che inchiodano la giunta di Michele Emiliano

I pm accusano: un comitato d’affari influenzava il Comune di Bari. Nelle intercettazioni gli agganci dei Degennaro

Ecco le carte che inchiodano la giunta di Michele Emiliano

Roma - Il sindaco di Bari Michele Emiliano «soffre» per la «rappresentazione data dell’amministrazione e della mia persona», dopo i sette arresti per l’inchiesta su alcuni appalti del Gruppo Degennaro con il comune pugliese. Soffre e «intende ripristinare al più presto la verità dei fatti», spiega su Facebook, in attesa di parlare, oggi, in conferenza stampa. Di certo il primo cittadino «sceriffo» è alle prese con una bella magagna.
Gli tocca dimostrare che «poteva non sapere» quanto la sua giunta, la sua parte politica, e in una certa misura per gli inquirenti anche lui, subivano l’«influenza» e gli interessi dei fratelli costruttori Degennaro. E questo lo dicono gli inquirenti, prima ancora dei giornali che lo fanno soffrire. I pm raccontano di un «sistema di collusioni tra dirigenti apicali dell’amministrazione del Comune di Bari e il Gruppo imprenditoriale», rivelano il «mercimonio della funzione pubblica all’interno degli uffici strategici per le opere pubbliche dell’amministrazione cittadina», sottolineano come i Degennaro abbiano «goduto del totale asservimento di diversi pubblici ufficiali per aggiudicarsi importanti e remunerativi appalti pubblici». È la procura a scrivere dell’esistenza di «un comitato d’affari» che «influenzava a proprio favore le decisioni degli uffici» comunali. Atti amministrativi «concordati o imposti», grazie al controllo di «tre dirigenti apicali», organici al Gruppo. E, appunto, alle entrature politiche.

GLI AMICI IN GIUNTA

Dalle carte dell’inchiesta emerge che i fratelli Degennaro si dividevano i campi di attività. Daniele (ora ai domiciliari) curava gli aspetti finanziari. Gerardo (anche lui ai domiciliari) quelli operativi. Giovanni (indagato) gli aspetti legali. E Vito (indagato) si occupava «prevalentemente» dei rapporti politici. Il comitato, secondo i magistrati, funzionava eccome. Arrivando ben dentro palazzo di Città, parlando con mezza giunta. Lo dimostra, per esempio, l’intercettazione tra Gerardo Degennaro e il dirigente Vito Nitti del 12 ottobre 2006, relativa alle aspirazioni di promozione (soddisfatte) di quest’ultimo. Degennaro: «Senti ieri ho parlato con Emanuele (Martinelli, all’epoca vicesindaco, ndr), dice che la stanno facendo e dice che a te accorpano un po’ di cose». Nitti: «Sì però digli ad Emanuele non è che mi accorpano le cose e lo stipendio rimane lo stesso». D: «No,no (...) tu devi andare al massimo, ovviamente. (...) mo parliamo con Emiliano». Tre giorni prima, proprio il vicesindaco chiacchiera con lo stesso Nitti. A cui confida: «Tu alla fine qualche volta... non è che fai atti illegittimi, però fino al massimo ci arrivi». Sembra un rimprovero, ma quando Nitti replica «cerco di interpretare la legge in modo da renderla più snella», Martinelli plaude: «Bravo, bravo, fratello mio (...) è quello che poi in fondo noi chiediamo, perché non è che chiediamo la luna nel pozzo».
Come detto, la richiesta d’arresto dei pm Nitti e Pirrelli tocca direttamente anche i rapporti tra la famiglia-holding e il sindaco. Raccontando di una presunta raccomandazione fatta da Emiliano (ma riferita indirettamente da un dipendente del Gruppo), riportando intercettazioni ambientali tra il sindaco e Vito Degennaro, che chiacchiera di politica con Emiliano a cui ha appena regalato «cozze e spigoloni». Riferendo poi del subappalto milionario che il Gruppo concede a una società riferibile al cugino del sindaco. Che non è indagato, evidentemente poteva non sapere.

«CI SIAMO FATTI 2 ASSESSORI»

Non sapere, per esempio, di un episodio che appare sintomatico del «controllo» sulla Giunta. A dicembre del 2007 i Degennaro hanno bisogno del via libera alle varianti progettuali per uno degli appalti. Varianti già realizzate, ma da «formalizzare a causa dell’attività investigativa in corso». E ci riescono, secondo gli inquirenti, come «prodotto» di un doppio appuntamento. Uno tra Vito Degennaro e l’assessore comunale all’Urbanistica Ludovico Abbaticchio, organizzato dall’allora consigliere comunale Gaetano Anaclerio. E l’altro tra Gerardo Degennaro e l’assessore al Patrimonio Giovanni Giannini. Quest’ultimo produce l’informativa «che costituirà l’atto istruttorio con cui la giunta comunale, su proposta degli assessori Abbaticchio e Lorusso (Simonetta, all’epoca responsabile dei Lavori pubblici, indagata), il 24.1.2008 autorizzerà l’avvio delle procedure per la perizia di variante». Ecco spiegato, annotano gli investigatori, perché il direttore tecnico di una ditta del gruppo, intercettato in ambientale ride: «E so due, ci siamo fatti un altro assessore». Uno, di famiglia, Annabella Degennaro, entra persino nella seconda giunta Emiliano, ma prima degli arresti si era già dimessa.

DEPUTATI IN MASERATI

Non ci sono solo i contatti con sindaco, vice e assessori. I Degennaro hanno ottimi rapporti con molti consiglieri comunali e regionali, parlamentari, segretari del Pd. D’altra parte la famiglia di imprenditori è impegnata direttamente in politica, legata alla Margherita e ai democratici. Difficile dire quali siano normali contatti tra colleghi di militanza e quali vadano oltre. I pm rimarcano il tentativo di infilare emendamenti «comodi al Gruppo» persino nella Finanziaria di Prodi, ma il tema per esempio resta fuori dall’ordinanza di tre giorni fa. Resta traccia dei tanti contatti, delle tante conoscenze. Oltre ai riferimenti ai parlamentari del Pd Francesco Boccia ed Enrico Letta (Daniele Degennaro a gennaio 2008 presta la sua Maserati al consigliere Pd Massimiliano Vitale per accogliere il leader), all’eurodeputato Paolo De Castro, all’ex assessore, poi indagato e poi senatore Alberto Tedesco, c’è anche chi come Lillino Sannicandro, all’epoca consigliere regionale, si rivolge a Vito Degennaro chiamandolo «Grande capo» (telefonata intercettata il 4 dicembre 2007). Grande capo con grandi conoscenze. Quando il fratello Daniele gli domanda se conosce Onofrio Introna (all’epoca assessore ai Lavori pubblicicon Vendola) perché serviva una telefonata , Vito risponde: «Mi pare evidente! Ci sto già parlando ho rapporti costanti».

POLITICI MOLTO LOBBISTI

Una rete vasta, anche in ottica da lobbisti, quella dei Degennaro. Il cui impegno era «proteso su due fronti: quello nazionale diretto a esercitare pressioni (lobby) in modo che si stanziassero fondi per gli alloggi ex art. 18 e quello locale, esercitato sulle amministrazioni interessate alla realizzazione dei piani di edilizia affinché accelerassero le procedure burocratiche atte a formalizzare “l’impegno finanziario” di somme già stanziate». Per questo, continuano le toghe baresi, potevano contare tra l’altro sulla «collaborazione» dell’architetto Arcangelo Taddeo (indagato per bancarotta per il fallimento della Cit) e di Giovanni Epifani, oggi consigliere regionale del Pd. E i gangli arrivavano oltre i confini regionali «potendo contare sulla conoscenza diretta dell’assessore alle Infrastrutture, Opere Pubbliche e Mobilità della Regione Basilicata, Innocenzo Loguercio». Un intreccio stretto tra politica e affari, e il confine tra l’una e gli altri a leggere le carte appare sempre più esile.

Così, per esempio, il 3 dicembre 2007 Vito Degennaro discute di primarie con l’ex consigliere Anaclerio, che risponde parlando di poltrone: «In questa fase dobbiamo mantenere solo la nostra autonomia di forza da trattare direttamente con Emiliano, cioè tu gli devi far capire a Michele: “Oh Miche’ a noi basta che ci risolve il fatto di Mario, il fatto delle aziende”».

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