"Fine vita, in Lombardia non ci sono altre richieste"

Replica a Fdi dopo il primo suicidio assistito: "Valuteremo tutte le richieste"

"Fine vita, in Lombardia non ci sono altre richieste"
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Sul fine vita «al momento non abbiamo altre richieste» in Lombardia, «ma se ce ne saranno, le dobbiamo prendere in considerazione come abbiamo fatto» nel caso di «Serena», la 50enne affetta da sclerosi multipla progressiva, primo caso di suicidio assistito in Lombardia.

L’assessore al Welfare della Regione Lombardia Guido Bertolaso è tornato a ribadire ieri una posizione già trasparente da subito: «Sarà un punto di riferimento nel caso si dovessero ripetere casi del genere», aveva puntualizzato. Sul fine vita «noi dobbiamo dare una risposta. C’è stata una sentenza della Corte Costituzionale che ha a tutti gli effetti il valore di legge» e quindi «chi ha la responsabilità di organizzare questo genere di procedure, ha il dovere di portarle avanti nel modo migliore e più prudente e attento possibile. Abbiamo seguito davvero la strada giusta e corretta, lo abbiamo fatto nella più assoluta riservatezza perchè questo è quello che ci aveva chiesto la famiglia». «Sono cinquant’anni che lavoro solo e a esclusivo beneficio e interesse della comunità e dei cittadini. Certe situazioni che ho trovato di fronte nella mia vita mi hanno portare a prendere decisioni che in alcuni casi non sono quelle che la politica si aspetta» ha proseguito Bertolaso parlando delle polemiche politiche sulla vicenda, specie quelle di FdI.

«Da questo punto di vista- ha spiegato - la mia linea di condotta è sempre stata identica. Ci sono differenze di vedute, opinioni diverse che si rispettano ma a un certo punto qualcuno deve cominciare a decidere cosa fare di fronte alle richieste legittime di persone che in questo caso chiedono di poter porre fine alla propria vita, che è diventata una vita assolutamente insostenibile e inaccettabile sotto tutti i profili». La morte in Lombardia della 50enne affetta da sclerosi multipla progressiva è avvenuta «a casa di questa persona senza l’intervento di un medico del servizio sanitario pubblico, ma di un medico di fiducia scelto dalla persona che aveva fatto questa richiesta.

Pienamente nell’alveo delle determinazioni fatte dalla Corte Costituzionale». «Siamo stati talmente riservati - ha sottolineato Bertolaso - che questo fatto avvenuto alla metà di gennaio ed è uscito solo pochi giorni fa. Dopo aver sentito la famiglia abbiamo dato le indicazioni, nel momento in cui è uscita la notizia, su quello che è il percorso che abbiamo intrapreso». Sono stati coinvolti Asst, medici, giuristi, professionisti, personale amministrativo di Palazzo Lombardia «e non è uscita una sola parola su questa vicenda perché quando vogliamo fare le cose in modo serio e concreto lo sappiamo fare. Non abbiamo voluto prevaricare nessuno». Sull’interrogazione che sarà portata da FdI in Consiglio il prossimo 4 marzo, specie sul punto della somministrazione del farmaco letale, l’assessore ha replicato che la prescrizione è stata fatta del medico di fiducia della donna: «Se guardate le indicazioni della Consulta - ha aggiunto - noi le abbiamo seguite alla lettera, quest’ultimo passaggio è appartenuto alla famiglia della persona che aveva preso questa decisione». «Ricordo - ha poi proseguito Bertolaso - che un grande Dg di questa Regione, Carlo Lucchina, fu condannato a pagare 200mila euro per non aver dato seguito a una decisione adottata proprio in questo ambito (sul caso di Eluana Englaro, ndr). Non credo sia accaduto proprio per questo ma Carlo Lucchina subito dopo ci ha lasciato. Noi non vogliamo mettere nessun funzionario di questa Regione nelle condizioni di subire quello che ha subito il nostro carissimo amico Lucchina».

E «vogliamo mettere tutti nelle condizioni di scegliere nel modo giusto e coerente quelli che sono i dettami della Consulta, anche nel rispetto di quello che dice la propria coscienza. Sono un medico, cattolico osservante e praticante e come me tanti altri colleghi che hanno vissuto questa vicenda. Ma non abbiamo ritenuto opportuno sottrarci al dovere morale che ci veniva chiesto dalla Consulta».

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