Fornero, ministra-prof che sa solo bacchettare

La spocchia della prof chiamata da Monti a riformare il welfare italiano

Fornero, ministra-prof che sa solo bacchettare

Certo, vedendo l’agitazione scomposta di Totò Di Pietro contro Elsa Fornero, di cui chiede la sfiducia individuale, viene voglia di difendere il ministro del Lavoro dalla furia dell’ossesso. Di dire che è una donna coraggiosa che si assume una parte scomoda, che si batte per il Paese e che sotto sotto ha un cuore, poiché piange.
Ma appena ci rifletti, vedi che è impossibile stare dalla parte di Elsa che ha più spocchia che chili di peso. Inalbera una perenne faccia da dea egizia disgustata dall’altrui idiozia e ha un paio di tic rivelatori: se ascolta, mette due dita sotto il mento per farti capire che le tocca puntellarlo, se no, muore di noia; quando invece è lei che parla, alza al cielo l’indice della destra nel gesto del profeta che indica la via. Ha un evidente problema di super ego.
Con la storia degli esodati ha fatto davvero traboccare il vaso. Elsa insiste che i poveri cristi messi sul lastrico dalla sua riforma delle pensioni - fatta con la mannaia della presunzione anziché col bisturi della razionalità- sono 65mila. Ma quando l’Inps dice che invece sono la bellezza di 390mila, lei grida al complotto. Se l’è presa col presidente dell’ente, Antonio Mastrapasqua, e il direttore generale, Mauro Nori, trattandoli da quinta colonna della reazione in agguato: «Chi gioca al massacro andrebbe sfiduciato... chi ha passato i numeri lo ha fatto con dolo, per danneggiare il governo». Il ministro non ha smentito le cifre, ma si è inviperito che siano state divulgate quando non faceva comodo a lei. Neanche sfiorata dall’idea che l’Inps ha l’obbligo istituzionale di dire come stanno le cose e che la gente lo esige. Dunque, i vuoti sdegni di Fornero vanno annoverati tra le neuropatie del potere.
Elsa è una donna che si è fatta da sé. Una specie di Cenerentola di San Carlo Canavese, qualche migliaio di anime, dove l’inverno spirano i venti boreali della vicina Val d’Aosta. Figurarsi il gelo all’alba, quando Elsina usciva dalla sua modesta abitazione per andare a Torino e frequentare prima ragioneria e in seguito la facoltà di Economia, vincendo borse di studio a iosa. Poi, dopo tanti sacrifici, un mucchio di successi. Professore nell’ateneo torinese, cariche bancarie, onorificenze e medaglie. E, a coronamento, un eccellente matrimonio con Mario Deaglio, anche lui docente di Economia, e rampollo della borghesia torinese, laica e liberal, dotata di quell’etica sabauda, detta «azionista», ossia severa e cipigliosa che distingue, sotto la Mole, l’acculturato di sinistra dalle masse pitecantrope.
Fornero ha sposato, con Deaglio, anche queste pose. Di qui, la sua corrugata indignazione, la convinzione dell’infallibilità, una totale mancanza di sfumature, aggravate dall’alterigia del cattedratico tradizionalmente maldisposto all’ascolto degli altri).
Il mastodontico guaio combinato con gli esodati, è tipico della mentalità. Per dimostrarsi più virtuosa dei predecessori, Elsa ha spazzato via ogni gradualità nella riforma pensionistica. Ricordate con Maroni, Sacconi e altri titolari del Welfare, gli scaloni, scalini, scalette con cui si regolavano le transizioni tra un sistema e l’altro? Bè, via questa robaccia: dall’oggi al domani tutti in pensione a 67 anni. Così, le mezze età che avevano lasciato con qualche anticipo pensando di andarci di lì a poco in base alla legge vigente se ne trovano un’altra che li condanna a restare lustri senza lavoro né reddito. E Fornero anziché cospargere di cenere il suo capino, sparge insulti su chi la mette di fronte ai suoi incaponimenti.
Al momento della formazione del governo Monti, Elsa non era nella rosa. Al Lavoro doveva andare Carlo Dell’Aringa, un pd vicino alla Cisl, coautore con Marco Biagi, vittima delle Br, del Libro bianco sull’abolizione dell’articolo 18. Su Dell’Aringa, però, fu lo stesso Pd a opporsi perché troppo «liberista». Così si passò a Fornero, amica personale del premier e vicina al Pds torinese dagli anni ’90 quando fu consigliere comunale di maggioranza col sindaco Valentino Castellani.
Nonostante il Pd alle spalle, Elsa - come peraltro Monti - era davvero intenzionata ad abolire l’articolo 18, per favorire i licenziamenti necessari, sostituendo all’attuale reintegro un congruo indennizzo. È stato Napolitano a mettersi di mezzo. Sapendo che il Pd - in tutto dipendente dalla Cgil - non avrebbe retto alla botta, il presidente ha ordinato a Monti, che l’ha imposto a Fornero, di annacquare il provvedimento. Quello che ha visto la luce, e che Monti e Fornero fingono di considerare una stratosferica conquista, è scritto a quattro mani - dicono - dalla Cgil e dal capo gabinetto di Elsa, Francesco Tomasone, cigiellino onorario. Cedimento fatale foriero di danni. Infatti, anziché snellire il mercato del lavoro lo ha irrigidito, ha dimezzato l’aura di Monti di fronte all’Ue e ha svelato che Fornero ringhia con i deboli e bela con i forti.
Sconfitta e ridimensionamento non hanno però attenuato nel ministro l’arroganza, che molti chiamano piemontese, e che invece è propria della cerchia torinese di giacobini inflessibili cui ho accennato. Di qui, le continue liti con i colleghi per le ragioni più sciocche. Ha fatto un liscio e busso al sottosegretario Polillo, reo di avere detto cose sensate sugli esodati, da un’ebdomada battibecca con Patroni Griffi sui licenziamenti degli statali, mentre il ministro Giarda, per reconditi motivi, rifiuta di sederle accanto.
Elsa, tuttavia, si era a lungo astenuta dal passatempo dei ministri tecnici di sfrugugliare a turno il popolo bue: «Il posto fisso è monotono (Monti); chi non è laureato a 28 anni è uno sfigato (Martone); gli italiani sono per il posto fisso, nella stessa città, a fianco di mamma e papà (Cancellieri)». Finché, un giorno, c’è cascata anche lei: «Il posto fisso è un’illusione». Così, si è scoperta la storia della figlia.
Silvia Deaglio, 37 anni, è il prototipo dell’ideale italiano sbeffeggiato dai tecnici al governo: posto fisso, nella città dove vive, accanto ai genitori e sotto la loro ala premurosa. Valente oncologa, abitante all’ombra del Valentino, Silvia è prof. associato (con anticipo sulla media) a Medicina, nello stesso ateneo torinese dove sono ordinari mamma e papà. È inoltre responsabile della ricerca alla HuGeF, istituto che si occupa di genetica, fondato dalla Compagnia San Paolo di cui la mamma era vicepresidente e cofondato dall’Università di Torino di cui mamma e papà sono baroni. La Compagnia San Paolo, quella della mamma vicepresidente, è anche finanziatrice delle ricerche HuGeF, introiti che sarebbero aumentati da quando Silvia ne è responsabile, con ricadute positive pure sul versante accademico.

Nel verbale del concorso ad associato, tra i motivi della promozione universitaria c’è infatti questo: «La candidata dimostra un’ottima capacità di attrarre fondi di finanziamento per la ricerca...». Un tempo si chiamava familismo, oggi non so.

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