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Scontro nella maggioranza. Tajani: "Populisti quaquaraquà"

Tajani: "Noi no partito quaquaraquà come populisti, gente vuole persone serie". Cosa è successo

Scontro nella maggioranza. Tajani: "Populisti quaquaraquà"
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È gelo fra Matteo Salvini e Antonio Tajani. L'ultimo affondo della Lega nei confronti del ministro degli Esteri, per tramite di Claudio Durigon, è un invito a "farsi aiutare" nel rapporto con gli Usa, perché "è in una posizione un pò difficile" visto che "è un sostenitore di Ursula e del suo piano di riarmo e sappiamo tutti che von der Leyen non ha grandi rapporti con l'amministrazione americana". E il leader azzurro non l'ha preso affatto bene. In mezzo c'è Giorgia Meloni, che nelle ultime settimane si è irritata non poco per l'attivismo del leader leghista, anche sui delicati dossier internazionali. Mentre le opposizioni parlano di "sfiducia della Lega nei confronti di Tajani" e di governo in crisi. Il messaggio di Durigon in un'intervista a Repubblica catalizza l'attenzione sin dal primo mattino, quando i vertici di FI sono riuniti a Milano per un evento sull'Europa. "Un'iniziativa nata sul suggerimento di Marina Berlusconi", dice Letizia Moratti, e la sottolineatura richiama inevitabilmente i dubbi espressi un mese fa dalla figlia del Cavaliere sulle strategie trumpiane, elogiate dai leghisti e seguite con attenzione dalla premier, nel suo tentativo di equidistanza fra Washington e Bruxelles.

"Tutti hanno bisogno di farsi aiutare, anche io. Ma non mi sento in difficoltà, lo giudicheranno gli elettori", puntualizza Tajani, e nell'ottica della dialettica interna sono leggibili anche altre sue dichiarazioni. Come l'input ad "andare avanti con il Salva Milano" (su cui la maggioranza si potrebbe confrontare in Senato entro un paio di settimane). Oppure l'invito alla "prudenza" sui dazi, perché "le prove muscolari sono delle sciocchezze". Quello al ministro dell'Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti, "a fare in modo che la Borsa italiana resti in solide mani italiane". O la sottolineatura del leader azzurro sui Patrioti, il gruppo europeo della Lega, che "sono fuori da ogni gioco politico a Bruxelles". Nonché quella sui "partiti populisti 'quaquaraquà'".

Ma anche la constatazione dantesca: "A volte ci attaccano anche aspramente, 'non ragioniam di lor ma guarda e passa". Per Elly Schlein lo scontro Lega-FI "in qualsiasi Paese avrebbe già aperto una crisi di governo". L'esecutivo "non sta più in piedi", concorda Angelo Bonelli. E Riccardo Magi sostiene che "Meloni non ha una maggioranza in politica estera" e si chiede "con quale credibilità andrà al vertice della coalizione dei volenterosi giovedì". "Poverini... si illudono", taglia corto Tajani, mentre dietro le quinte i pompieri della maggioranza provano a ridimensionare le fibrillazioni.

"Salvini ha il congresso ad aprile, vuol far vedere che la Lega è centrale", si ragiona fra gli azzurri. "Giorgia sa sempre fare sintesi", osservano i meloniani. Eppure fonti di maggioranza raccontano che ultimamente i due vicepremier praticamente non si parlano, e si incrociano solo in Consiglio dei ministri. Il prossimo è previsto per lunedì 31. E nella coalizione c'è chi auspica prima un vertice fra i leader per provare ad abbassare le tensioni. In parte sono legate anche al passaggio del deputato Davide Bellomo dalla Lega a FI, e alla concorrenza fra alleati sui territori, tema ricorrente nei capannelli fra i partecipanti alla due giorni della Scuola politica leghista a Roma. Un vertice ancora non è in programma. Un confronto potrebbe servire a definire la posizione che Meloni porterà giovedì a Parigi al summit dei 'volenterosì, sulle strategie di assistenza a Kiev: la premier finora ha insistito sull'estensione delle garanzie Nato all'Ucraina ma prende quota l'ipotesi di un'operazione multinazionale sotto l'egida Onu. Se ci sarà una cornice delle Nazioni Unite, vuol dire che gli Usa saranno d'accordo e quindi anche la Lega approverà, si ragiona fra gli alleati del partito di Salvini.

Intanto i leghisti continuano il pressing affinché si arrivi a un'intesa bilaterale con Washington sui dazi. Bisogna "trovare esenzioni ai prodotti che non sono concorrenti a quelli americani", sottolinea il leghista Claudio Borghi, secondo cui "affidarsi all'Ue è come abbracciare un salvagente di ghisa".

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