Governo salvo per 4 voti: messaggio Pdl a Letta

Il ddl costituzionale passa al Senato per un soffio, decisiva la Lega Nord

Governo salvo per 4 voti: messaggio Pdl a Letta

Roma - Larghe intese sempre più strette. Il governo regge per soli 4 senatori visto che ieri il provvedimento di riforma costituzionale che istituisce il comitato dei 42 saggi è passato sì con la maggioranza qualificata dei due terzi, ma per il rotto della cuffia. 214 il quorum necessario (per scongiurare il referendum confermativo), 218 i voti incassati. Con un paradosso: decisiva è stata il «sì» in massa della Lega che pure sogna di mandare a gamba all'aria il governo. Mancanti all'appello, oltre agli assenti, 12 senatori tra cui 11 pidiellini astenuti perché in dissenso. I quali sono stati messi subito sul banco degli imputati dai governisti: «Hanno fatto un agguato per far cadere il governo», gridano. E nel partito è di nuovo bufera mentre la maggioranza sembra traballare ogni giorno di più.
Ieri, oltre le assenze (Berlusconi, Bondi, Bonfrisco, Ghedini, Matteoli, Mussolini, Piccinelli, Repetti, Romani, Rossi, Verdini e Villari) pesavano le astensioni pidielline di Maria Elisabetta Alberti Casellati, Vincenzo D'Anna, Domenico De Siano, Ciro Falanga, Pietro Iurlaro, Pietro Langella, Eva Longo, Antonio Milo, Augusto Minzolini, Francesco Nitto Palma e Domenico Scilipoti. In aula hanno motivato la loro scelta Nitto Palma, Falanga e Minzolini. Quest'ultimo spiega così il suo gesto: «Il provvedimento è un compromesso a ribasso che ha escluso di affrontare il tema della giustizia mentre si sta compiendo l'estromissione per via giudiziaria del leader del centrodestra». Poi, respinge al mittente l'accusa dell'agguato: «Ma quando mai? Non c'era nulla di organizzato e come la penso l'ho sempre detto alla luce del sole. La verità è che se si blinda sempre e comunque il governo, non si otterrà mai nulla. E sarà così anche per la legge di stabilità che fa pagare la crisi all'elettorato moderato».
Passato il ddl ma solo per un pelo, i ministeriali pidiellini vanno su tutte le furie. Quagliariello, il ministro che ha rischiato di più perché se il ddl non fosse passato a maggioranza qualificata si sarebbe dovuto dimettere un minuto dopo, pare abbia letteralmente tolto la pelle di dosso a Scilipoti. Non solo: subito dopo il voto gli alfanidi si sono riuniti in una sorta di summit di corrente. Ira funesta. La sintesi la fa Formigoni: «Non mi fa piacere usare la categoria del tradimento ma hanno tentato di far cadere il governo sul voto per le riforme istituzionali - attacca - Se c'è qualcuno che sta venendo meno al compito che il partito ci ha affidato è chi ogni giorno cerca di mettere in difficoltà il governo o di farlo deflagrare».
La tensione nel Pdl si taglia con il coltello. La febbre sale a livelli di guardia quando circola la voce dell'ira del capogruppo Schifani.

Ma lo stesso Schifani corregge il tiro sballato delle ricostruzioni delle agenzie di stampa: «Smentisco categoricamente la presunta irritazione sulle assenze in Aula. Per fortuna si è raggiunto il quorum. Certo alcune assenze oggi erano previste, altre no, alcune modalità di voto ancora di meno», dice. Nel Pdl è fibrillazione continua.

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