Chiedo scusa agli insigni colleghi politologi di questo e altri giornali, ma trovo ingiustificato tanto interrogarsi su Pier Ferdinando Casini. Tutto già visto. Il leader dell’Udc è uno dei personaggi più stantii della scena politica che, essendone nell’intimo consapevole, si agita almeno una volta l’anno per darsi un tono. In genere, prima delle vacanze estive nel tentativo di farsi ricordare fino a settembre. Pare che con l’intervista al Corriere della Sera abbia aperto a sinistra.
Non però da subito, ma dopo le elezioni 2013, in una coalizione che non è chiaro se oltre al Pd di Bersani, comprenda anche Di Pietro e Vendola o solo Vendola senza Di Pietro o il contrario. Campa cavallo fino ad allora. Da quando nel 2008 ha chiuso con il Cav- che era la sua bussola e polizza di assicurazione dal 1994 - Pierferdy dice e fa stranezze che però non lasciano traccia. Le riassumo e vedrete che vi erano totalmente uscite dalla testa anche se, come in questi giorni, se ne fece un gran parlare.
Nel 2008, dopo il fallimento Prodi, Casini propose un grande sodalizio di necessità tra destra e sinistra. Sognava di mettersi alla testa del guazzabuglio e ricavarne lustro. Nessuno se lo filò,un po’ perché non c’erano le condizioni e molto perché se Pdl e Pd avessero voluto putacaso allearsi, lo avrebbero fatto direttamente, senza aspettare la manleva di una mosca cocchiera. Di bell’aspetto,certo, ma sempre mosca. Casini, pago dei titoli dei giornali, fece buon viso e ci riprovò l’anno dopo. Nell’estate 2009, al picco del solleone, si rimise in vendita dicendosi disposto a un’unione con chicchessia pur di salvare l’Italia, ma stavolta da Berlusconi. Eravamo nel pieno delle carinerie tra il premier e le signorine Noemi e D’Addario. Con raro senso delle proporzioni, Pierferdy parlò di «emergenza democratica » e propose un nuovo Cln. Ossia, un’alleanza tra lui e la sinistra molto più esplicita di quella cui accenna in questi giorni.
Suscitò l’entusiasmo del rifondazionista, Paolino Ferrero, che esclamò: «Per sconfiggere Berlusconi, ci alleiamo anche col diavolo ». Di fronte a un’adesione così maleducatamente espressa, Casini reagì: del diavolo a me? Vai al diavolo tu. Comunque, avendo fatto parlare di sé, aveva messo in cascina anche il 2009. Nel 2010, invece di perdersi in chiacchiere, optò per le cadreghe. Nelle elezioni amministrative, mostrò come la pensava davvero sulle alleanze: nel Lazio appoggiò la destra, in Piemonte la sinistra, in Lombardia andò solo, in Sicilia di nuovo con la destra. E così, per lo Stivale. Il tutto per centrare l’obiettivo principale della sua attività politica: raccattare poltrone, sediole e strapuntini. Nel 2011, la crisi economica ci ha risparmiato la tradizionale esternazione balneare di Pierferdy che si è però ampiamenterifatto tra novembre e quest’anno con le sviolinate giornaliere a Mario Monti in cui ha finalmente trovato un nuovo faro. Consapevole però che non durerà a lungo, gli tocca tenersi a galla con qualche iniziativa. Di qui l’«apertura a sinistra» della scorsa settimana.
Dicono che Pierferdy punti al Quirinale. Non ce lo vedo, ma ci credo. Qualsiasi politico con un pizzico di spina dorsale vorrebbe andare a Palazzo Chigi per governare il Paese e tirarlo fuori dalle peste. Tanto più se, come Casini, occupa la scena da quasi trent’anni: ne aveva 28 quando entrò a Montecitorio nel 1983, oggi ha i capelli grigi e cinquantasei primavere sul groppone. Invece, il leader Udc è sempre scappato a gambe levate dalle responsabilità di governo. Mai una volta ministro o sottosegretario, avendone avute mille occasioni. Figurarsi, se vuole fare il premier e prendersi la briga di confrontarsi con i problemi.
Casini è in politica con lo stesso spirito di uno che faccia il militare con la ferma intenzione di non andare mai in guerra. Il coraggio uno non se lo può dare. Ecco perché, tra il 2001 e il 2006, si pavoneggiò felice alla presidenza della Camera, dove amministrava 630 colleghi, privilegiati come lui, e non sessanta milioni di italiani, tra cui otto milioni di poveri. Si capisce quindi che voglia trasferirsi al Quirinale, altra oasi, in cui nelle situazioni più drammatiche- come oggi- si debbono al massimo prendere decisioni politiche interne al Palazzo, non quelle che toccano i cittadini nella loro pelle. Tuttavia anche lì- se mai ci finirà-sarebbe l’inquilino col medagliere più scarso.
Tutti quelli saliti fin qui sul Colle erano o ex premier o ministri di calibro o ex governatori di Bankitalia, con l’eccezione di Sandro Pertini che ebbe però una vita da romanzo. In questa galleria di gente che era stata in trincea, Pierferdy fa la figura di un cagnolino da salotto.
La grande idea di Casini è stata quella di creare e tenersi stretto un partitino - il Ccd, poi Udc- che in sé non conta, ma è percepito come erede della Dc. Con questo canotto galleggia da vent’anni dandosi l’aria del leader come un nobile decaduto ostenta il solo cocchio che gli sia rimasto. L’Udc è lo specchio per le allodole degli inquieti momentanei. Come in un albergo a ore, da Casini sostano transfughi di destra e sinistra il tempo necessario per accorgersi che non c’è futuro per nessuno perché tutto l’apparato, uomini e soldi, è al servizio della inutile per il Paese- sopravvivenza politica di Pier Ferdinando. Il viavai migratorio dall’Udc stupirebbe anche una capitaneria di porto. Sono fuggiti a gambe levate per aderire alla destra, Sandro Fontana, Carlo Giovanardi, Gianfranco Rotondi, Erminia Mazzoni, Mario Baccini;per altri lidi centristi,Bruno Tabacci e Sergio D’Antoni; a sinistra, l’amico di adolescenza, Marco Follini. E chissà quanti ne dimentico.
Con quelli che lo lasciano, Pierferdy è rancoroso e consuma vendette squisitamente democristiane: casuali in apparenza ma attentamente studiate per fare male. Quando se ne andò, Gianfranco Rotondi fondò un partito lillipuziano, detto «Democrazia cristiana », con altri due fuorusciti. Uno era Piergiorgio Martinelli, esodato dalla Lega. Al nuovo raggruppamento bisognava trovare una sistemazione tra le centinaia di locali di Montecitorio. La decisione spettava a Casini, che era allora presidente della Camera, e fu questa. Rotondi e i suoi furono sbattuti in un posto impossibile, arrampicato tra rampe scalette che, a farle tutti i giorni, nessuno dei tre avrebbe raggiunto l’età pensionabile. Per di più,l’ex leghista Martinelli per arrivarci era costretto a passare nell’ala riservata al gruppo della Lega Nord, dove era subissato di lazzi padani con forti triboli del suo miocardio.
Non c’è molto altro da dire di Pierferdy. È un peso così leggero che lo sono pure le critiche che lo riguardano. A parte il «tradimento » del Cav - ma in politica è norma- gli viene rinfacciata incoerenza tra il pubblico atteggiamento da devoto baciapile e la vita privata. E questo perché in prime nozze ha sposato una divorziata e in seconde non si è sposato in chiesa. Ditemi voi, se vale la pena di discutere di uno che di sulfureo ha solo questo.
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