La scena italiana è simile a quella della Costa Concordia prima che urtasse lo scoglio. Però più che «Concordia» questa è la nave della «Discordia». I litigiosi però non sono tutti, ma i due gruppi politici che hanno lanciano veti in tutte le direzioni, il Pd guidato da Pier Luigi Bersani - in cui ora si litiga anche all’interno - e quello dei grillini. Per fortuna, alla Capitaneria del Porto, il presidente Napolitano ha avvertito la nave, cioè l’economia e italiana, che sta rischiando grosso. E ha dato a Monti un mese e mezzo di tempo per rimediare ai guai in cui ha messo l’Italia, che stava pensando di lasciare ai successori. Il capo dello Stato non può prendere il timone per guidare Monti e metter pace fra le forze politiche che dovrebbero sostenerlo. Però gli pone al fianco alcuni consiglieri per far emergere i problemi urgenti, che il suo governo dovrebbe risolvere o attutire, con la collaborazione del Parlamento.
Il problema più grosso e il pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione, calcolati fra i 70 e 100 miliardi. I governi debitori sono in gran parte le Regioni e i Comuni per la sanità e i governi locali e loro enti per le opere pubbliche. Il governo centrale deve far emergere questi debiti con chiarezza, con l’importo e la data del ritardo di pagamento. E questo sarebbe un primo compito fondamentale, per stabilire con altrettanta chiarezza priorità e modalità di pagamento. Pagando con rapidità i debiti pregressi delle Pa, si dà liquidità all’economia produttiva e quindi ossigeno per il suo rilancio, mentre essa arranca perché il mercato sul lato della domanda è difficile mentre il credito bancario è scarso.
Ma bisogna trovare i modi giusti per risolvere un rebus, che è il seguente: pagare evitando di far salire troppo il rapporto fra debito pubblico statale circolante sul mercato e Pil. Il rapporto fra debito e Pil è arrivato al 128 per cento, perché il governo Monti in un anno e quattro mesi lo ha peggiorato di 10 punti rispetto al livello a cui Berlusconi nel novembre del 2011 lo aveva lasciato. Questo debito, nei piani ora smentiti dai fatti, doveva salire al 120 per cento del Pil per poi scendere nel 2014 con la ripresa. Ma il Pil nel biennio 2012-13 è già peggiorato di 3 punti rispetto alle previsioni e, se non ci sarà la ripresa a fine anno, ci sarà un ulteriore peggioramento. Inoltre abbiamo messo a bilancio i prestiti agli altri Stati dell’Eurozona per altri 3 punti di Pil. Le entrate pubbliche a causa della crisi peggiorano di un punto sulle previsioni ad aliquote invariate. E 2 punti di debito in più li abbiamo fatti per mettere a bilancio 30 miliardi di debiti pregressi della Pa. Bisogna evitare di mettere sul mercato troppi debiti in titoli pubblici. Quindi bisogna che il più possibile si paghi questo debito arretrato, alla svelta, con finanziamenti della Cassa depositi e prestiti, con sconto di crediti presso istituti di credito con garanzia patrimoniale dei debitori. E solo in ultima istanza con cartelle di debito statale a carico del contribuente nazionale, arcistufo di pagare per i deficit delle Regioni e egli enti locali.
Poi ci sono due bombe tributarie da disinnescare. C’è l’aumento di Iva al 22% a luglio, che vale 4 miliardi teorici di gettito e rischia di farci perdere maggiori entrate a causa del calo della domanda. E c’è il rebus della Tares, la stangata della tassa municipale sui rifiuti, che inciderà sulle case, già tartassate. Inoltre incombe il rilancio delle opere pubbliche, compreso il Ponte sullo Stretto, che se non si fa, in penali e perdita del contributo comunitario, ci costa di più. Ci sono vari modi per cofinanziare le opere pubbliche, con finanza di progetto. La Cassa integrazione in deroga sta per esaurire i fondi: servono 2 miliardi. E c’è la questione dell’Ilva e del pasticcio creato per i contratti Fiat di Marchionne, da sentenze ballerine. Monti deve evitare che la nave Italia si incagli o sia commissariata dalla Troika europea (Bce, Fondo monetario, Bruxelles cioè Berlino). Non dovrà, dunque, vergognarsi di fare qualche sterzata di rotta. Errare è umano, perseverare non lo è.
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