L’imposta di scopo comunale (ma c’è anche quella provinciale) nacque con Prodi e aveva limiti ben precisi (specifiche opere pubbliche, finanziabili con l’imposta in questione solo sino al 30 per cento). Poi, il federalismo municipale: che stabilì che, con regolamento dello Stato, si sarebbe potuto 1) allargare l’elenco delle fattispecie di opere pubbliche finanziabili con l’imposta di scopo; 2) prevedere che essa fosse applicata anche per 10 anni, anziché per soli cinque 3) attribuire ai Comuni la possibilità di finanziare con l’imposta in questione anche l’intero ammontare della spesa per l’opera pubblica da realizzare. Ora, un nuovo allargamento: quello che si poteva fare solo con regolamento statale, lo potranno adesso fare i Comuni stessi, direttamente, con proprio regolamento. E questo, accompagnato da un gravosissimo appesantimento: l’imposta si applicherà anche alle prime case e sulla stessa base imponibile dell’Imu (su rendite catastali, cioè, aumentate del 60 per cento rispetto all’Ici).
La nuova versione dell’imposta di scopo venne subito battezzata come un’Imu bis. E fu tutto un’affannarsi di politici e di rappresentanti di partito a prendere le distanze dalla nuova imposta sulla proprietà della casa. Dopo di che, ci si aspettava che la nuova Imu non l’avrebbe passata liscia, in Senato. È invece accaduto perfettamente l’opposto, l’incredibile: che non se ne è neppure parlato. In Commissione, c’è stato solo un fugace accenno del presidente della stessa, che si è limitato a dire che «si consente ai Comuni di disciplinare con regolamento l’imposta di scopo, nel quadro della disciplina recata dalla legge finanziaria del 2007» (Prodi). In assemblea, è intervenuta in argomento solo una senatrice del Pd (per esprimere piena approvazione al provvedimento proposto da una collega Pdl) mentre il sottosegretario all’Economia ha detto che l’intervento sull’imposta di scopo costituiva «semplicemente l’aggiustamento formale conseguente al fatto che l’Ici è stata sostituita dall’Imu». Nelle dichiarazioni di voto, da ultimo, solo un senatore dell’Idv ha fatto un cenno critico all’imposta di scopo.
La vicenda è emblematica, e si presta a molteplici considerazioni. La prima è che questa vicenda dimostra quanto sia vero ciò che tutti coloro che hanno approfondito la storia del fiscalismo sanno bene: che ogni imposta nasce piccola piccola, lieve, controllata e che poi progressivamente (e inesorabilmente) si allarga e appesantisce, sotto la spinta dei politici - o dei «tecnici» - di turno.
Seconda considerazione. In questo particolare momento, le dichiarazioni del mondo politico hanno più che mai nessuna attendibilità. Come s’è visto, s’è passati - da un giorno all’altro - dalle più aspre critiche al silenzio assoluto). Il Parlamento è, di fatto, sotto scacco, deve - con il governo che agita ad ogni pie’ sospinto lo spauracchio della Grecia - votare e basta. La conquista dell’approvazione di un ordine del giorno viene contrabbandata per un successo.
Terza considerazione. Il ministero dell’Economia e delle finanze s’è affrettato a dire che l’imposta di scopo è stata sinora applicata da 20 Comuni in tutto. S’è, così, tirato da solo la zappa sui piedi. Certo, i Comuni non l’hanno applicata perché c’erano dei limiti e, soprattutto, potevano con l’imposta finanziare le opere pubbliche solo al 30 per cento. Il resto dovevano mettercelo i Comuni stessi, per così dire di tasca propria. Ma ora, invece, potranno - a briglia sciolta - finanziare con l’imposta ogni opera pubblica che loro vogliano, al 100 per cento. E già Luigi Einaudi diceva alla Costituente (seduta 31.7.1946) che - in sostanza - quando gli amministratori locali hanno una possibilità in materia tributaria, è per loro pressochè un fatto d’onore sfruttarla al massimo limite consentito.
Quarta, ed ultima, considerazione. Il Governo Monti è alla disperata ricerca - per (tentare di) mettere ordine nei conti pubblici, sperando che serva - di nuove entrate. Ai Comuni Monti ha tolto, invece di dare (l’Imu lo prova). Però, dà loro soldi in altro modo: ad esempio rompendo la (preesistente) diga in materia di imposta di scopo. Inutile poi dire che il cespite colpito è sempre quello prediletto da questo governo: gli immobili (ma, rigorosamente, solo quelli della proprietà diffusa; ferma la protezione delle Siiq, delle Siinq e dei fondi immobiliari).
Ciò che fa seriamente pensare che, dietro questo accanimento tributario a carico di uno specifico settore dell’immobiliare, vi sia un più ampio (surrettizio) disegno: quello di provocare, con provvedimenti fiscali a raffica a carico delle case e degli affitti, una vera e propria redistribuzione dei patrimoni. A riprova, la dichiarata disponibilità a diminuire le sole imposte sui trasferimenti. Per favorire la mobilità della proprietà degli immobili, appunto. di Corrado Sforza Fogliani, presidente Confedilizia- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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