La lady di ferro che può puntare al Colle

Il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri è autorevole, piace a tutto e ha una dote: sa risolvere i problemi

La lady di ferro che può puntare al Colle

Piace indiscriminatamente Anna Maria Cancellieri, apprezzata a destra e a sinistra come donna, come ministro dell'Interno, per il carattere, per l'indole e chi più ne ha più ne metta. Giuliano Ferrara la adora perché rotonda e bonaria come lui. Il pidiellino bolognese, Giuliano Cazzola, che l'ha avuta commissario prefettizio della sua città, ne loda l'equilibrio e la candida al Quirinale. Il Fatto, che di solito fa le pulci a tutti, la definisce «il bravo ministro». Appresa la sua nomina all'Interno, il predecessore leghista, Bobo Maroni, chiosò: «Ora non ho dubbi che il ministero è in buone mani».

Non posso che aggiungermi al coro e fare una volta tanto un ritratto disteso e senza stress. Fisicamente, l'avete vista, è imponente quanto basta da impensierire, il che non guasta nel supremo rappresentante delle forze dell'ordine. Ha una voce speciale come Rosa Russo Iervolino, l'unica donna che l'abbia preceduta alla guida del Viminale. Iervolino l'aveva però inquietante come il richiamo di un uccello notturno, mentre la voce di Cancellieri è profonda come il quieto ronfare di un orso e bisogna aiutarsi col movimento delle labbra per capire ciò che dice. Il lato femminile è invece esaltato dagli eleganti tailleur e una triplice collana di splendide perle.

Non crediate che le qualità del ministro - già per decenni funzionario dell'Interno - siano dolciastre alla De Amicis. È piuttosto un personaggio verghiano, saldamente realista e col senso pratico di chi ha il vizio, sempre coltivato, di risolvere i problemi. Appena si diffuse la voce, il 16 novembre 2011, che Monti l'aveva designata, i cronisti la assalirono di domande. A tutti replicò: «Mi chiedete se ho accettato subito l'incarico? Certo. Se si tratta di servire il Paese io sono sempre pronta». Quando invece giurò da ministro al Quirinale, ai giornalisti che subito dopo la circondarono disse: «Lasciatemi andare, ho una riunione». Si era già messa in moto.

Il ministero dell'Interno esprime la forza dello Stato. È perciò prettamente maschile. Per esorcizzare questa realtà, Iervolino esagerò il suo lato muliebre dichiarando di sentirsi «mamma» di poliziotti, sbirri, vigili del fuoco, 007. Cancellieri non ha bisogno di espedienti. Lei in mezzo ai maschiacci con baffi e pistole è a suo agio. Ci gioca anzi come il gatto col topo. Infatti, la pensa così: «Abolirei l'8 marzo. La donna non deve sentirsi razza a parte perché siamo molto meglio degli uomini». La verità è che si considera parte dell'ingranaggio ed è orgogliosa dell'Amministrazione in cui ha trascorso la vita e di cui, da pensionata, ha preso la guida. Dice: «È sbagliato pensare lo Stato italiano come una ricotta. Lo Stato ha una spina dorsale forte che al momento dovuto viene fuori».

Al suddetto spirito di corpo è dovuta la seconda e minore gaffe - della prima e maggiore parleremo poi - fatta in questi otto mesi di Viminale. Quando in giugno la Cassazione confermò le pene ai poliziotti per la morte del giovane Federico Aldrovandi, Cancellieri commentò: «Se ci sono stati, come sembrerebbe, degli abusi gravi, è giusto che vengano colpiti». Quel condizionale di fronte a un accertamento giudiziario definitivo - estremo tentativo del ministro di difendere i suoi uomini - parve irrispettoso per la Cassazione e offensivo per i familiari del ragazzo. Ne seguì una risentita dichiarazione dei genitori Aldrovandi ma niente di più.

Anna Maria, nata a Roma sessantotto anni fa, ha trascorso nella Capitale i primi tre decenni di vita. Si laureò in Scienze politiche e diciannovenne ebbe un'esperienza di lavoro a Palazzo Chigi, dove ancora aleggiava lo spirito delle feluche poiché fino all'anno prima era stato sede del ministero degli Esteri. Questa circostanza, unita alla laurea tipica del diplomatico, lascia pensare che, in quegli anni, il futuro ministro dell'Interno ambisse agli Esteri. La mia è un'illazione, corroborata però dal dna dei Cancellieri in cui è evidente il gusto dell'esotico. Il nonno partecipò alla guerra che nel 1911 ci condusse in Libia e fu nominato commissario - ruolo che la nipote ricoprirà con la frequenza degli incendi agostani - ai beni sequestrati ai berberi. Il padre fu impegnato tutta la vita nella costruzione di centrali elettriche libiche. Lei stessa trascorse per decenni le estati a Tripoli e lì incontrò il marito, il farmacista dottor Peluso, nativo della città, ma di origini catanesi, col quale andava a ballare nel porto di Leptis Magna e in gita nelle oasi. Gheddafi li cacciò tutti nel 1970 e nessuno da allora è più tornato laggiù.

Impalmato il tripolino, Anna Maria si trasferì nel 1972 a Milano per iniziare ventinovenne la carriera nell'amministrazione degli Interni. A Milano - «mia città di adozione», la definisce - ha tuttora casa e famiglia, ossia il marito, due figli maschi, quattro nipotini. Negli anni del terrorismo, lavorò in prefettura col compito di tenere i rapporti con le famiglie delle vittime, da Calabresi in poi. Nel 1993, promossa prefetto, cominciò un'esistenza raminga. Rappresentò lo Stato a Vicenza, Bergamo, Brescia, Catania e Genova. La sua specialità divenne l'emergenza. Ovunque c'era da commissariare, piombava lei come l'Uomo Ragno: la città di Parma nei primi Novanta, la gestione dei rifiuti in Sicilia, soprattutto gli enti teatrali in crisi. Appassionata di lirica, l'ha salvaguardata tirando fuori i teatri dalle secche: un paio di enti a Bologna e il Bellini di Catania, dove si scontrò con la Procura. Fu accusata di avere ecceduto in consulenze e indagata per abuso d'ufficio. Finì in una bolla di sapone. Nel 2009 fu collocata a riposo. Sembrava la fine di una carriera onorata che si conclude con un «arrivederci e grazie», e chi s'è visto s'è visto.

Per lei fu, invece, il preludio alla ribalta nazionale. Appena in pensione, il ministro Maroni la nominò commissario straordinario a Bologna in balia del Cinzia gate, l'infelice tresca amorosa del sindaco pd Flavio Delbono. In un anno e mezzo, Anna Maria - vitale, di buon umore, trascinatrice - risanò le casse, risolse l'annoso problema del metrò e si fece amare dall'intera città, a destra come a sinistra. Quando stava per andarsene, Casini e l'Udc le chiesero di candidarsi sindaco, idem il Berlusca & co. Rifiutò, dicendo che voleva stare con i nipoti. Ebbe invece da Maroni un altro incarico a Parma. Ma il destino era alle porte: di lì a poco, il Cav fece fagotto, e Monti la nominò ministro.

Rimane solo da dire dell'infelice giorno in cui, contrariamente al solito, si impancò dicendo: «Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà». Subito le fu rinfacciato che tra i Cancellieri-Peluso il posto fisso è la regola e saltò fuori che il figlio Giorgio vive a Milano accanto a mamma e papà e che a 42 anni è direttore generale di Fonsai.

Si seppe che guadagnava cinquecentomila euro, aveva benefit, auto blu. Indiscrezioni grondanti invidia ma che, essendo vere, dovevano indurre la mamma alla cautela nel parlare dei figli degli altri. Siamo certi che la duttile Anna Maria ne ha fatto tesoro.

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