Libertà di stampa a intermittenza

All'improvviso si ode ovunque la sirena dell'allarme

Libertà di stampa a intermittenza
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All'improvviso si ode ovunque la sirena dell'allarme. Non è il solito antifurto che sveglia il vicinato perché è bruciato un fusibile o è passato un gatto (quando ci sono i ladri non scatta mai), ma a essere in pericolo sarebbe qualcosa di ben più prezioso del fuoristrada lasciato sul marciapiede: la libertà di stampa. L'altro ieri a far sua questa preoccupazione e a garantire che dal Quirinale vigilerà sul rispetto di tale diritto costituzionale è stato il Capo dello Stato. Lo ha fatto da par suo, con autorevolezza ed equilibrio. D'accordo. Mi aggiungo pertanto al coro. Avverto però che risulterò un poco stonato rispetto alle voci dominanti. La Federazione della Stampa e l'Ordine dei giornalisti, guidati da personalità ignote a chi legge i giornali e di cui non si ricorda non dico un articolo ma nemmeno un aggettivo, ha deciso che questa libertà di parola è contraddetta da una norma bollata come legge-bavaglio. In realtà non soffoca l'opinione di nessuno, si limita a vietare il copia e incolla delle ordinanze di cattura dotate di intercettazioni che sputtanano per sempre una persona, la quale in quel momento è essa sì imbavagliata in quanto privata di ogni libertà.

A questa protesta se n'è aggiunta un'altra, relativa all'indagine aperta dalla Procura di Perugia nei confronti del direttore e di due redattori del quotidiano Domani di proprietà dell'ingegner Carlo De Benedetti. Essendo l'indagine secretata non mi pronuncio. Nessuno che mi passi le carte di sfroso. Costoro avrebbero pubblicato notizie pervenute nelle loro mani, autentiche ma ricavate da documenti ottenuti da un tenente della Guardia di Finanza che avrebbe svaligiato banche-dati in uso alla Commissione antimafia.

Esiste una differenza gigantesca tra il rendere noti ai propri lettori fatti di interesse pubblico, una volta verificata la loro consistenza opera non biasimevole, anzi meritoria - e l'essersele procurate commissionando un accesso illegale a computer sigillati dal segreto: sarebbe reato. Neppure un giornalista ha la licenza di ingaggiare dei ladri, sia pure elettronici. Ma non credo sia questo il caso. Difendiamoli! Giusto!

Pongo a questo punto una domanda piccola piccola.

Perché in Italia i diritti universali hanno confini che evitano di includere nella cartina geografica delle tutele chi non è di sinistra o comunque fa comodo a quel giro di teste di paglia che monopolizza o quasi stampa e tivù? Scuserete se tiro in ballo la mia insignificante persona, ma essa, dal mio punto di vista, conta parecchio. Forse che se ne colpisce uno per educarne cento? Fate voi.

  1. Il Giornale da me diretto rivelò la brutta storia di un appartamento a Montecarlo lasciato in eredità da una nobildonna ad Alleanza nazionale e finito non si capiva come in possesso del cognato di Gianfranco Fini che di An, oltre che della Camera, era presidente. A documentare il malaffare, segnalatomi dal compianto Livio Caputo, ci pensò Gian Marco Chiocci, ora direttore del Tg1, che spedii nel Principato di Monaco. Gian Marco suonò a quel citofono, lo sventurato Tulliani rispose. Tutto questo provocò il prematuro decesso politico di Fini. Il quale insieme ai suoi bravi mi stra-querelò: arrivarono ad accusarmi di essere uno stalker dato che non mi accontentavo delle smentite e insistevo. Nessuno intervenne a difendere la libertà del Giornale. Anzi i denunzianti furono costantemente spalleggiati dalla stampa e dai talk show di sinistra che mai si scusarono per il trattamento.
  2. Il caso denominato Dino Boffo. Le notizie che lo riguardavano erano vere, al punto che determinarono e ancora me ne dispiace - il suo licenziamento dal quotidiano dei vescovi. Risultato? L'Ordine dei giornalisti mi condannò alla sospensione per tre mesi, mettendomi il bavaglio con il plauso della categoria. La mia libertà di dire la verità fu conculcata bellamente.
  3. A settembre sarò processato a Roma con rito abbreviato per istigazione all'odio. Ho osato dire che il Meridione è inferiore. Lo certificano economia, condizione sociale, lavoro nero. Mai detto e neppure lontanamente pensato che i terroni siano antropologicamente di qualità inferiore ai polentoni. Tant'è vero che quando approdano a Milano o a Londra sono spesso i migliori della piazza. Niente da fare. Imputato Feltri, vada a processo! La riterrei un'onta se non fosse una faccenda ridicola, che fa perdere tempo e denaro a tutti, specie a chi con le tasse mantiene la baracca. Più cretinetti di tutti sono l'Ordine e il sindacato dei giornalisti che non hanno speso un avverbio, una congiunzione, un apostrofo per tutelare la modesta libertà del sottoscritto. Mi sa che mi ritengono inferiore. O superiore?
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