Livia Turco, l'inventrice dei Ctp che non risolse l'emergenza immigrazione

L'ex ministra della Solidarietà è tornata a farsi sentire recentemente per criticazione l'azione del governo Meloni sui migranti, ma si dimentica le storture della sua "Turco-Napolitano" di venticinque anni fa

Livia Turco, l'inventrice dei Ctp che non risolse l'emergenza immigrazione
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Nelle settimane in cui si discute tanto di immigrazione e di emergenza sbarchi, ecco che recenntemente è ritornata in auge una di quei protagonisti politici che hanno messo mano alle norme che regolano il flusso dei migranti irregolari: Livia Turco. Scomparsa dai radar delle aule parlamentari e istituzionali da più di dieci anni, l'ex ministra della Solidarietà sociale fu l'autrice - insieme a Giorgio Napolitano - di quella legge 6 marzo 1998, n. 40 - poi rientrata nel Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 - che disciplinò quella tematica, tentando di proporsi come legislazione di superamento della fase emergenziale.

La legge che non sconfisse l'immigrazione clandestina

L'obiettivo della Turco-Napolitano (governo Prodi 1) fu quella di regolamentare l'immigrazione, favorendo da un lato l'immigrazione regolare e scoraggiando dall'altro l'immigrazione clandestina. Chi veniva poi considerato a regola poteva affrontare il percorso di acquisizione della cittadinanza, caratterizzato da una serie di tappe verso l'acquisto dei diritti propri del cittadino pleno iure, che includeva il diritto al ricongiungimento familiare, del diritto al trattamento sanitario e alla salute, e del diritto all'istruzione. Di contro, l'immigrato clandestino diventava destinatario di un provvedimento di espulsione dallo Stato.

Tale legge istituiva anche, per la prima volta, la figura del Centro di permanenza temporanea (all'articolo 12), per tutti gli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile". Nonostante le buone intenzioni, tuttavia, quella legge non riuscirà a risolvere un fenomeno che si era sviluppato in Italia soprattutto nella seconda parte degli anni '90. Tant'è che, appena quattro anni più tardi, il governo Berlusconi dovrà ricorrere alla Bossi-Fini per consentire di tamponare un po' la situazione.

Il presente politico di Livia Turco

Nata a Cuneo il 13 febbraio 1955, Livia Turco è una donna che ha sempre militato orgogliosamente a sinistra. Iscritta alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (Fgci), l'organizzazione giovanile del Partito Comunista Italiano, nel 1973 si trasferisce a Torino e conferma la sua scelta di adesione politica nel Pci. Durante quegli anni difficili si occupa della lotta al terrorismo e delle battaglie per superare i manicomi, conquistare la legge per la regolamentazione dell'aborto e ottenere il servizio sanitario nazionale approvato nel 1978. Viene eletta nel 1987 in Parlamento e vi rimane ininterrottamente fino al 2013, tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica. Tra il 2006 e il 2008 verrà nominata anche ministra della Salute. Dal Pci passa al Pds e poi al Partito Democratico, con il quale deciderà di non ricandidarsi alle elezioni politiche del 2013.

I suoi sostegni a Roberto Giachetti come sindaco di Roma nel 2016 e ad Andrea Orlando come segretario nazionale del Pd nel 2017 non daranno i frutti sperati. Dovrà aspettare il 2021 per ricoprire nuovamente un incarico pubblico: il neoeletto primo cittadino della Capitale, Roberto Gualtieri, la nomina la sceglie per la guida dell'Azienda dei servizi alla persona "Istituto romano San Michele". Dopo un lungo periodo di silenzio, Livia Turco è tornata a parlare proprio della sua storica legge sull'immigrazione per criticare l'attuale governo Meloni: "I nostri erano centri per quei pochi casi di migranti di cui non fossimo riusciti a scoprire le generalità. Solo 30 giorni in attesa di svolgere le faticose indagini con i consolati".

Peccato che la "mancata esibizione del documento d'identità senza giustificato motivo", prevista dal Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n.

286, ha consentito la bizzarrìa secondo la quale un immigrato straniero poteva tranquillamente assolto (anche più volte) dal reato previsto in quanto un "giustificato motivo per non esibire il documento" poteva essere il fatto che lui - quel documento - non lo possedeva proprio. I sospettati non potevano essere identificati e gli espulsi furono un numero limitato.

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