Dietro ai disagi vissuti da milioni di viaggiatori qualche giorno fa e dietro nuove future proteste già annunciate da una parte del sindacato contro le misure economiche del governo, una mobilitazione che porterà inevitabilmente, da oggi a Natale, nuovi disagi, non vi è alcuno scontro sociale, ma semplice opposizione politica.
Il paese non è attraversato da alcuna frattura economica tale da indurre il sindacato ad una simile campagna di proteste. Bastava muoversi, come ho fatto io a Milano, il giorno della paralisi dei mezzi pubblici, per rendersi conto che quasi nessuno dei viaggiatori smarriti comprendeva, o meglio, anche solo conosceva, le ragioni del disagio che stava subendo.
D'altra parte, un primo indizio circa le ragioni di questa stagione di protesta si coglie nella spaccatura stessa del mondo sindacale: dalla campagna di scioperi si è sfilata la Cisl, l'organizzazione meno politicizzata della triplice confederale. Ciò evidentemente perché alla organizzazione dei lavoratori tradizionalmente cattolica e moderata è apparso evidentemente chiaro che alla base della mobilitazione non vi era una piattaforma di rivendicazioni economiche e sociali tali da giustificarla, ma un progetto di opposizione politica che prescinde dai contenuti contingenti, ma si fonda su una pur legittima ostilità ideologica all'Esecutivo scelto dalla maggioranza degli elettori.
Nella estrema prudenza adottata dalla coalizione di centrodestra nel gestire i nostri conti pubblici, con un rapporto debito/Prodotto Interno che sfiorerà il 140% proprio mentre l'Europa reintroduce i suoi occhiuti controlli dopo la stagione del Covid, non si intravede quella stagione di riforme che pure i tempi forse richiederebbero.
L'elezione di Trump in America, con il carico di cambiamenti annunciati per rafforzare la potenza economica statunitense, il ruolo anche simbolico di Elon Musk, simbolo di una nuova supremazia tecnologica che vede l'Europa arrancare nei confronti dei concorrenti mondiali, la necessità di rendere più competitivo un paese che esporta metà del valore prodotto dalla propria manifattura, tutti questi fattori avrebbero potuto suggerire a chi guida il paese una piattaforma riformista più ambiziosa e, in questo caso, avremmo potuto comprendere anche una stagione di confronto con il sindacato seria, ma talvolta aspra.
Nulla di tutto ciò è in campo. Da liberale mi viene da dire che sarebbe più comprensibile una protesta di piazza da parte di chi si aspettava una stagione di cambiamenti profonda, legata alla tradizione berlusconiana della coalizione al governo.
Una incisiva riforma del mercato del lavoro che agganciasse i salari all'incremento di produttività, l'introduzione di contratti di lavoro differenziati per territorio, collegati al concetto di autonomia, l'introduzione di un solido principio di sussidiarietà che vedesse l'ingresso massiccio dei privati nel sistema sociosanitario del paese, una legge obiettivo tale da disboscare burocrazia e norme ambientali nella realizzazione di opere pubbliche indispensabili alla crescita.
Insomma, di fronte ad un progetto riformista esteso ed ambizioso, atto a portare il paese, per dirla con Norberto Bobbio, verso maggiore libertà e minore uguaglianza per renderlo economicamente più competitivo con i tempi, si sarebbe potuta comprendere una politica sindacale di preoccupata vigilanza ed anche, talvolta, di muscolare protesta. Non è questa tuttavia la situazione.
Il governo ha scelto una attitudine prudente, gli elettori e la storia si incaricheranno di dirci se è stata la scelta più appropriata. Di certo, opporre alla prudenza le barricate profuma più di ideologia che di legittima rivendicazione. Rispondere ad una Legge di Stabilità sussurrata con grida belluine già si attaglia malamente ad una opposizione politica seria, certamente non sta nel solco del confronto sociale equilibrato.
Il diritto di sciopero, per l'amore del cielo, è sacrosanto e le azioni sindacali, quali che siano, sono sempre legittime. Si può bloccare un autobus, un treno, una piazza, per chiedere un euro in più, anche se non ci si preoccupa di come quell'euro verrà guadagnato. Si può chiedere un'ora di lavoro in meno, senza preoccuparsi di quanto ciò inciderà sulla competitività dei nostri prodotti, si può rivendicare maggiori investimenti su tutto, dalla sanità ai trasporti, senza chiedersi con quali tasse verranno pagati. Tutto questo però è populismo sindacale, portato avanti da chi, spesso, in questi anni, ha additato proprio il populismo come proprio principale avversario.
Utilizzare gli strumenti estremi della lotta sindacale per una simile piattaforma politica, mi sia consentito, non è degno della più nobile tradizione riformista del movimento del lavoratori italiano. E fa crescere il sospetto che qualcuno, più attaccato alla sua tessera di partito che a quella del suo sindacale ricerchi nella protesta obiettivi falliti nelle urne.
Governo e sindacato hanno entrambi un compito serio in questo autunno che rischia di diventare «caldo» nel clima e gelido nei contenuti.
È esigenza dei lavoratori riacquistare quel criterio di proporzionalità tra azione e reazione che allontani ogni sospetto di strumentalità dalle lotte intraprese. È esigenza del governo avviare una stagione riformista che le elezioni americane rendono ancora più urgente. Perché non basta applaudire Trump per cogliere lo spirito dei tempi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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