Maroni contro i monnezzai "Solo roba vecchia usata prima di andare al voto"

Querela per Borgogni, teste chiave su Finmeccanica. L'ex ministro dell'Interno accusa: "Fu sentito sei mesi fa, ma i pm hanno tenuto le carte nel cassetto"

Maroni contro i monnezzai "Solo roba vecchia usata  prima di andare al voto"

Milano - Ai suoi, Roberto Maroni ha detto che no, lui preoccupato non è per il caso Finmeccanica. O meglio. La preoccupazione è che la nuova ondata di fango, anzi, di «stronzate fangose» come ha scritto su Facebook, dia un’altra mazzata a una Lega che si gioca la sopravvivenza alle Amministrative: «È quella la nostra vera partita».
Per il resto, Bobo «è sereno, perché sono trasparente come l’acqua». E in piena come un fiume, ché ieri sul web ha postato tre chiamate alle armi in poche ore. Dice che «noi sappiamo come si smaltisce la monnezza, nei termodistruttori», e quindi oggi scatteranno «le prime denunce contro i monnezzai romani». La prima è una querela per Lorenzo Borgogni, l’ex responsabile Relazioni esterne di Finmeccanica che ai pm napoletani ha parlato di una tangente di 10 milioni alla Lega per la nomina di Giuseppe Orsi al vertice della società. Non solo Borgogni «parla per sentito dire», s’inalbera Maroni, ma «è stato interrogato a ottobre scorso. Strano, queste notizie “esplosive” sono rimaste nel cassetto dei pm per ben 6 mesi e sono uscite solo oggi, a 2 settimane dalle elezioni».
Ed ecco il punto. La parte del partito colpita dalle scope di Bobo lo accusa, in un inedito connubio col Pd, di gridare al complotto solo quando il fango sfiora lui, ma di aver fatto pulizia interna senza aspettare le risultanze delle inchieste. Replicano i maroniani che «Borgogni ha ripetuto le cose che aveva già detto sei mesi fa. Ma forse adesso a qualcuno fa comodo interpretarle in un altro modo». Il riferimento non è solo ai tempi sospetti, grida Bobo che «qualcuno a Roma (e Napoli) pensa di distruggerci. Poveri illusi, non hanno capito che la Lega è immortale». Ma anche all’intervista che Borgogni ha rilasciato ieri alla Stampa, tirando in ballo Marco Reguzzoni e Giancarlo Giorgetti. L’ex capogruppo della Camera per la storia dei capannoni di Malpensa che sarebbero stati affittati per 5,4 milioni da AgustaWestland a una società collegata a Reguzzoni, che ha smentito tutto il 6 aprile scorso. Il capo dei lumbard per la presunta assunzione in Finmeccanica di un suo parente. Se ieri già alle 10 del mattino fra i maroniani girava un sms: «Leggete Borgogni e ricordatevi che a Varese non c’è solo Bobo...», come a voler spostare su Reguzzoni il tiro di questa inchiesta che punta anche sui legami di amicizia, come dire, territoriale con Orsi, il partito ha fatto quadrato intorno a Giorgetti. Anche se hanno creato sconcerto le parole di Umberto Bossi l’altra sera, che ne ha lodato l’assoluta correttezza, «di lui sono ultrasicuro, è un pretino», ma intanto ha fatto sapere che è lui «l’uomo delle nomine in Lombardia», secondo alcuni «circoscrivendo chi potrebbe avere responsabilità». Veleni che smentiscono l’ultimo post di Maroni su una Lega «ricompattata» dai nuovi attacchi. Di certo, con Bossi la linea è la stessa: anche il Senatùr parla di «inchieste costruite» e di «Paese di m...».
Ma la base è sempre in fermento. Tanto per dirne una, ieri Massimo Dolazza, capogruppo a Stezzano e bodyguard di Bossi negli anni Novanta, ha ricordato a Linkiesta di quando fu sospeso dal partito per aver scritto un libro sul «sistema Finmeccanica» in cui chiedeva conto dei rapporti col Carroccio. Insomma altro che festa di Liberazione.

Anche se è vero che per i padani doc il 25 aprile è soprattutto la festa di San Marco, simbolo dei Serenissimi. Ieri il maroniano Gianluca Pini non s’è fatto sfuggire l’occasione per tirare una frecciata a Reguzzoni, e su Facebook ha scritto: «Auguri a tutti i Marco, tranne uno».

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