Maroni lancia la Lega 2.0 ma teme ancora il Senatùr

Deposta la scopa, Maroni archivierà la secessione ripartendo dai sindaci. Però è preoccupato: deve convincere il Senatùr a non ricandidarsi a segretario

Maroni lancia la Lega 2.0 ma teme ancora il Senatùr

Un nuovo vocabolario, nel quale, tanto per dirne una grossa, la parola secessione verrà sbianchettata. E un partito a gestione non più dispotica e quasi stalinista, ma «collegiale». Eccola la Lega 2.0, quella che Roberto Maroni lancerà ufficialmente a maggio, agli Stati generali della Padania, subito dopo aver deposto la scopa della pulizia.
Il vecchio armamentario celodurista resterà giusto un’esibizione di Mario Borghezio, che l’altro giorno proponeva una soluzione facile facile per estirpare mafia e camorra: vendere Sicilia e Campania «agli Usa» o «a un pool di miliardari russi», usando il ricavato per ripianare il debito pubblico. Solo rigurgiti folkloristici, visti dai progettisti del nuovo Carroccio. «Diciamo che la linea europea del nuovo corso non sarà Borghezio a dettarla» s’inacidisce un deputato. La nuova Lega non solo non avrà più nell’anti-sudismo la propria cifra, ma, dicono autorevoli fonti maroniane, sarà addirittura italiana. È vero, l’aggettivo peninsulare ancora non si può tanto utilizzare, c’è pur sempre una base vichinga da non disorientare. Eppure è convinzione di Maroni che un leader debba guidare, oltre che assecondare. Così, Bobo dice di guardare a un’Europa «delle macroregioni, una delle quali sarà la Padania». Intanto però archivierà la crociata secessionista, e anche il federalismo non sarà più la meta capitale. «Siamo stati al governo e non siamo riusciti a portarlo a casa, per rilanciare la nostra azione politica dobbiamo ampliare i nostri orizzonti» ammette amaro un big del nuovo corso.
È dai Comuni che si riparte. La Lega di Maroni sarà la Lega dei sindaci. Quelli, per capire, alla Flavio Tosi, il potente primo cittadino di Verona che per primo ha avuto il coraggio di ribellarsi a Umberto Bossi. Una Lega del buon governo, come si diceva una volta, là dove anche le alleanze saranno scelte in base alle migliori possibilità di amministrazione. La virata a sinistra sarà impossibile, dicono tutti, perché il popolo leghista è a destra che continua a guardare. E però il primo laboratorio di quel che potrà succedere è ancora quello veronese, dove la quasi totalità del Pdl si è fatta sospendere dal segretario Angelino Alfano pur di continuare a sostenere Tosi. Non che sia una pedalata facile, qui sul Pordoi delle inchieste fra fondi neri e diamanti. Da una parte un analista come Nando Pagnoncelli dà già in rimonta la Lega che fa le pulizie e torna allo spirito del ’91, mani sporche di colla dei manifesti e amministratori che le buche nei marciapiedi le chiudono da sé. Dall’altra parte però per affrontare la salita bisogna restare in equilibrio. È qui che il modello diplomatico sostituirà quello dittatoriale di bossiana memoria.
È il «gioco di squadra» fra tutte le «nazioni», dal Veneto alla Liguria, invocato da Maroni, che ha citato i nomi di tutti «i nostri giovani di valore», da Cota a Zaia passando per Salvini e Stucchi. Ma la gestione corale andrà oltre. Per dire. In Lombardia i maroniani «giacobini» vorrebbero che il nuovo segretario fosse il duro e puro Matteo Salvini. Ma i maroniani moderati, i cosiddetti terzopolisti, vogliono una figura «più equidistante», come l’attuale segretario Giancarlo Giorgetti. Il compromesso potrebbe essere un ticket con Salvini segretario e Giorgetti presidente. O persino con un nome diverso da Salvini, «perché non Massimo Garavaglia?» è la proposta dei terzopolisti. I quali a Salvini non oppongono barricate, ma chiedono di gestire questa fase «confrontandosi con la base sui territori». Più facile la partita in Veneto: qui, dopo la sconfitta di Gian Paolo Gobbo al congresso pure nella «sua» Treviso, il segretario sarà Tosi, nonostante il governatore Luca Zaia si sia già premurato di mettergli almeno un sassolino fra le ruote, quando ha detto che chi ha già ruoli di governo non dovrebbe ricoprire cariche di partito.
Fino alla grande sfida del congresso federale di fine giugno. I cerchisti, oggi resistenti alle purghe di Maroni, puntano a ricandidare Bossi. «Questo metterebbe in difficoltà Bobo - confidano i maroniani -, che nel giorno del passo indietro di Umberto gli ha detto: “Se ti ricandidi, ti rivoto”». Nel mezzo però, avvertono, ci sono le inchieste di tre Procure sulle spese della «Family», che potrebbero indebolire il vecchio Capo. E ci sono le Amministrative. Se la Lega reggerà, sarà stata una vittoria di Maroni. Non a caso l’altro giorno Tosi a Radio 24 diceva che «il nuovo segretario dev’essere quello che porta più consensi: Maroni rientra a pieno in questo identikit», avvertendo poi che se Bossi si ricandidasse «sarebbe come se io pensassi di fare il sindaco fino a 80 anni: bisogna dare spazio ai giovani, al ricambio».

Così, a sfidare Maroni potrebbe essere uno come il capogruppo del Senato Federico Bricolo, ma solo per dare rappresentanza all’opposizione interna. Ed ecco l’ultimo tassello della nuova corsa del Carroccio: alla fine delle pulizie, sarà il turno della seconda generazione padana. Il celodurismo è già un ricordo.

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