Monti copia il modello Marchionne «È la strada che voglio per l'Italia»

RomaI futuri «federati» muoiono dall'impazienza. Vogliono «RiMontare l'Italia», come nel titolo (non si sa quanto riuscito) di una manifestazione tenuta ieri dalla Lanzillotta. Nei tempi morti prendono le reciproche misure. Ma lui, il «federatore», va a Melfi a raccogliere l'endorsement del mondo Fiat. Occasione per dare un piccolo saggio del programma che verrà. Monti indica nel modello Marchionne la strada del futuro: «L'impegno della Fiat a Melfi è emblematico del percorso che immagino e vorrei per l'Italia. Non si può riformare senza accelerare un cambio di mentalità, i sindacati non possono restare arroccati a tutele che non torneranno e che nel tempo si dimostrano dannose».
Refrattario all'organizzazione spicciola, Monti ha delegato all'uopo il suo staff, con l'onnipresente Betty Olivi in marcatura a uomo, Toniato a centrocampo e il ministro Moavero coordinatore d'attacco. Il Prof attende solo che il Parlamento lasci libero il campo per cominciare la partita. Dovrebbe accadere sabato, al più tardi domenica, con la legge di Stabilità in porto. Dopo aver tenuto la conferenza di fine anno, Monti salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Circola voce che Napolitano potrebbe fare un mezzo sgambetto al premier, aprendo una mini-consultazione in piena regola, che non servirebbe a granché, se non a salvare un po' la forma sbilenca di questa crisi extraparlamentare.
Sarà allora che il Prof renderà nota la sua decisione. Non si tratterà di «scendere in campo», linguaggio calcistico a lui estraneo, bensì di rivelare come «servire il Paese». Due le ipotesi in grembo a Giove. Disponibilità ad accettare di essere indicato come «capo della coalizione», cosa che gli hanno chiesto tutti (ieri il lamento accorato di Fini). Ovvero un sostegno alle forze che sono d'accordo con la sua benedetta «agenda». Tra le due ipotesi corre più del 10 per cento di appeal elettorale e il fatto che, nel secondo caso, «per noi sarebbero c... amari», come sussurra uno dei centristi. Si sarebbe costretti a ripiegare su un nuovo capo della coalizione o, più probabilmente, a rinunciarvi. Dal confronto fra i relativi scenari, appare chiaro perché, contro il parere della famiglia e di qualche amico, il premier opterà per la prima.
In mancanza di guida, i centristi vivono giornate appese a un filo. Litigano ancora molto tra la possibilità di presentarsi in un'unica lista (come vorrebbero Casini e Fini) o, alla Camera, ognuno con il proprio simbolo. In quest'ultimo caso, potrebbe esserci anche il problema della raccolta di firme, se dal caos del decreto legge in riconversione alla Camera dovesse uscire la soppressione dell' «aiutino» concesso ai montiani della lista Montezemolo-società civile (esentati dalla raccolta grazie a un codicillo). Ieri la situazione è precipitata in un pericoloso stato di stallo, nel quale il Pd è ricorso all'ostruzionismo pur di non farlo passare. Deciso a bloccarlo anche La Russa, accusato di essere il beneficiario di un emendamento che rendeva possibile l'esenzione anche per i gruppi formati a fine legislatura (come il suo). Il ministro Cancellieri s'è detta preoccupata, il dl potrebbe tornare in Commissione, finendo salomonicamente «tagliato» di qualsiasi eccezione alla regola.
In attesa di sapere delle liste, i centristi sono riusciti a orientare il rassemblement come «distante da destra e sinistra», pur mettendo già nel conto la collaborazione con Bersani.

Il quale ieri ha però ieri fatto sapere che non farà sconti e con Monti in campo sarà battaglia dura: «Non credo ai partiti personali, non fanno bene all'Italia». Al punto in cui siamo, non basterebbero forti dosi di oppiacei.

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